Codice dei Beni culturali.
- Definizioni.
- Disciplina in sintesi.
- Verifica
dell’interesse culturale.
- Vetustà del bene.
- Demanio Artistico
e Beni culturali.
- Bene culturale e
dismissione del patrimonio dello Stato.
- Terreni.
-
Autorizzazione
- Diritto di prelazione
- Denuncia
- Acquisto dello
Stato.
- Tipologia degli
atti.
- Natura della
prelazione.
- Nullità.
- Usucapione.
Definizioni.
Il codice dei beni
culturali fa una distinzione tra patrimonio culturale e bene culturale.
Qualifica come "patrimonio culturale"
sia i beni culturali che i beni paesaggistici.
Riserva invece la
definizione di bene culturale
ai beni così individuati: "le cose immobili e mobili che, ai sensi degli
articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate
dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà".
Sono invece
qualificati come beni paesaggistici
"gli immobili e le aree indicati all'articolo 134, costituenti espressione dei
valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e
gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge".
Ai fini
dell'attività notarile interessano, come per il passato, esclusivamente i beni
culturali,
non i beni
paesaggistici, per i quali non risultano preclusioni di carattere negoziale.
I beni
paesaggistici rilevano solo per il parere ai fini delle dichiarazioni
urbanistiche (vincola l’attività edificatoria o di alterazione della
consistenza fisica del bene paesaggistico).
L'inosservanza delle prescritte formalità dà luogo alla sanzione civilistica della "nullità" dell’atto (art. 164 del codice) ed alla sanzione penale prevista dall'art. 173 del codice ("è punito con la reclusione fino ad un anno e alla relativa multa”).
Disciplina in
sintesi.
I beni culturali si distinguono in :
a) beni culturali appartenenti a sogg.di diritto pubblico o a persona giuridica priva di scopo di lucro:
- la negoziazione del bene culturale richiede il doppio momento della preventiva autorizzazione alla
dismissione e del procedimento di prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso.
- fermo restando che il bene culturale è tale
oggettivamente, a prescindere dalla dichiarazione della pubblica autorità,
quest'ultima dichiarazione viene comunque ritenuta necessaria come unico
meccanismo idoneo a chiarire definitivamente la culturalità del bene o l'assenza
di culturalità. Ma anche prima della suddetta dichiarazione il bene,se
costruito da più di 50 anni, è ritenuto culturale.
b) beni culturali appartenenti a soggetto persona fisica oppure a società commerciale:
- non si richiede la
preventiva autorizzazione, ma occorre osservare esclusivamente le norme sulla
prelazione allorquando se ne verifichino gli estremi (alienazione a titolo
oneroso) e fermo comunque l'obbligo di denuncia.
- la notifica, sempre richiesta, non si limita a far rientrare il bene nella disciplina dei beni culturali, ma addirittura è essa stessa attributiva del requisito di culturalità. In questo modo un bene privo di notifica della dichiarazione della prevista autorità non ha mai assunto la qualifica di bene culturale.
Non sono beni
culturali gli immobili assoggettati al
c.d. vincolo indiretto, ora previsto dagli artt. 46 e segg. del codice.
L'art. 45 dispone che "il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le
misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità
dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne
siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.
Verifica
dell’interesse culturale.
Il codice qualifica
con il termine "verifica" il procedimento inteso ad individuare un bene come
bene culturale, appartenente ad ente pubblico o a persona giuridica prova di
scopo di lucro; mentre qualifica "dichiarazione d'interesse culturale" il
procedimento inteso ad identificare il bene culturale del soggetto privato o
della società commerciale, dichiarazione notificata e trascritta ai sensi
dell’art. 15.
beni culturali appartenenti a sogg.di diritto pubblico o a persona giuridica priva di scopo di lucro.
L'amministrazione pubblica che cura gli interessi dei beni culturali, d'ufficio o su sollecitazione del proprietario del bene, procede alla verifica di questi beni. Ogni bene verrà così schedato come bene culturale, oppure come bene non culturale.
Tuttavia, fino a quando non sia effettuata la suddetta verifica, "le cose immobili e mobili indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte alle disposizioni del presente titolo fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2" (art. 12).
qualunque bene,
anche se non abbia oggettivamente i connotati di bene culturale, purché sia
stato creato da più di 50 anni, va assoggettato alla disciplina dei beni
culturali, pena l'invalidità dell'atto.
Se verrà schedato come bene culturale, la schedatura costituisce dichiarazione del bene come bene culturale, dichiarazione che va trascritta nei registri immobiliari se si tratta di bene immobile, per rendere la culturalità del bene conoscibile ai terzi.
Manca certezza sul
provvedimento che esclude detta culturalità, salvo che si consideri tale la
semplice lettera di risposta della sovrintendenza.
Il bene non culturale, se appartenente a persona giuridica privata o ad ente pubblico non territoriale, può essere immediatamente commercializzato senza autorizzazione e senza prelazione;
se appartenente ad ente pubblico territoriale od allo
Stato, ne va dichiarata primieramente la sdemanializzazione e successivamente il
bene può essere commercializzato come bene privato.
L'art. 12, comma nono del codice dispone che le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 "anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica".
la norma cioè dà per presupposto che il soggetto titolare del bene continui nella titolarità di esso, ma sotto diversa natura.
la norma non
contempla l’ipotesi inversa della trasformazione di soggetto persona fisica in
soggetto persona giuridica, né quella della trasformazione di società
commerciale in soggetto persona giuridica priva di scopo di lucro, perché in tal
caso il legislatore non mette in moto un meccanismo complesso inteso alla
verifica della culturalità del bene, ma basa tutto sulla notifica di bene
culturale che è l’unico strumento per rendere applicabili le norme speciali su
beni culturali.
Vetustà del bene.
L’art. 10 comma 5 prevede che possono essere dichiarati culturali solo i beni che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni (questo requisito non si applica ai beni che sono culturali per il loro collegamento con la storia); requisito questo richiesto anche dall’art. 12 in tema di verifica della culturalità.
L’accertamento dell’età del bene rileva solo per i beni apparteneti a enti pubblici o a enti non aventi scopo di lucro, in quanto negli altri casi è necessaria la dichiarazione di culturalità che accerta anche la vetustà del bene.
Ai fini di tale accertamento, la giurisprudenza ha, inoltre, precisato che i cinquant’anni debbano essere calcolati dal momento in cui questo risulti ultimato e non, invece, dalla data del progetto o del titolo abilitativo alla costruzione.
A tal fine, non è
decisiva l’eventuale data del rilascio del certificato di agibilità, in quanto
può accadere che l’agibilità venga concessa dopo diverso tempo dalla venuta ad
esistenza del bene. Diversamente, se l’agibilità è stata richiesta da più di
cinquant’anni, si presume che a quella data l’edificio fosse già stato
costruito.
Pertanto, in
conclusione, qualora non esistano prove documentali dalle quali risulti che un
edificio abbia meno di cinquant’anni, appare opportuno ritenere che l’immobile
sia assoggettato alla disciplina dei beni culturali, e, quindi, prima di
procedere alla vendita, si dovrà richiedere l’autorizzazione.
Demanio Artistico e
Beni culturali.
i beni culturali
appartenenti allo Stato o agli enti locali (comuni, province, regioni) erano
stati qualificati come demanio artistico (artt. 822 e 824 cod. civ.), il che
comportava: l’inalienabilità assoluta del bene, la sua inusucapibilità,
l’esclusiva possibilità di utilizzazione singolare provvisoria di esso bene
previa concessione amministrativa.
ai fini della
demanialità, occorra preventivamente che il bene sia valutato come bene
culturale: infatti sia l'art. 822 c.c. per il demanio culturale dello Stato, sia
l'art. 824 per il demanio culturale degli enti locali, utilizzano l'espressione
"immobili riconosciuti d'interesse" culturale; il che fa concludere che per
considerare questi beni come demanio artistico occorra una preventiva
valutazione di culturalità da parte della pubblica amministrazione.
Il T.u. dei beni culturali oggi prevede:
a)
esistono beni del tutto e definitivamente inalienabili: immobili e aree
di interesse archeologico; immobili riconosciuti monumenti nazionali; immobili
appartenenti allo Stato o agli enti territoriali dichiarati di interesse
particolarmente importante per la testimonianza della storia; va chiarito che la
predetta inalienabilità non vale per i negozi di trasferimento che vedano come
parti lo Stato e gli enti locali;
b)
tutti gli altri beni sono provvisoriamente inalienabili in attesa
della verifica;
c)
effettuata la verifica e riconosciuta la loro culturalità, essi possono
essere alienati previa autorizzazione. Trattasi di autorizzazione
specifica, caratterizzata da adeguate garanzie (tutela, valorizzazione, pubblico
godimento del bene) e da specifiche obbligatorie destinazioni d'uso del bene;
d)
l'autorizzazione alla cessione equivale ad automatica sdemanializzazione del
bene, il quale da quel momento perde il carattere di bene demaniale ed acquista
il carattere di normale bene culturale.
e) se, invece, dopo la
verifica, il bene non viene più ritenuto culturale, mancando la culturalità
viene meno anche il suo connotato di bene demaniale. Si deve aprire un
procedimento di sdemanializzazione autonomo (art. 12 comma 5) poiché può essere
sempre un bene demaniale non culturale. Dopo il procedimento di
sdemanializzazione, il bene è liberamente trasferibile.
Bene culturale e
dismissione del patrimonio dello Stato.
Ci si chiede se la dismissione dei beni degli enti
previdenziali ed enti pubblici in genere, come disciplinata dalla predetta legge
n. 410 del 2001, debba ritenersi assoggettata sia all'autorizzazione che alla
prelazione artistica. Il codice infatti non fa alcun riferimento alla
dismissione del patrimonio dello Stato.
il problema deve
ritenersi testualmente risolto dall'art. 3, comma 17° del D.L. n. 351 del 2001,
il quale reca due norme con cui, da un lato, si esclude per i beni culturali
dismessi la necessità dell'autorizzazione e, da un altro lato, si fa divieto
allo Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici, di
rendersi acquirenti dei beni dismessi.
Terreni.
è sorta la questione se anche il nudo terreno possa essere considerato bene culturale.
è da escludere che un terreno, il quale non è prodotto dall’attività dell’uomo, possa rivestire un interesse artistico di per se stesso.
Diverso è il discorso dell’area che è stata il teatro di un determinato
avvenimento storico. In tal caso, però, il terreno riveste un interesse storico
non di per sé, ma in quanto “collegato” con determinati avvenimenti ( storia
politica, militare,
della letteratura, dell'arte e della cultura in genere).
In questa ipotesi manca ogni riferimento alle cose che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant’anni.
Qualora un reperto
archeologico sia incorporato al suolo, inevitabilmente l’alienazione del terreno
sul quale insiste il reperto potrà essere sottoposta a vincoli. Ciò, tuttavia,
non dipende dal fatto che il terreno sia bene culturale, bensì dalla circostanza
che l’alienazione del terreno può comportare anche l’alienazione del bene
archeologico, il quale ultimo è sottoposto al regime dei beni culturali.
Si deve escludere, quindi, che un nudo terreno, privo di
manufatti artistici, storici, o di reperti archeologici ed etnoantropologici,
possa di per se stesso rivestire un interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico.
Ai fini della presente indagine, appare rilevante l’inclusione nell’art 10 quarto comma, tra i beni culturali, dei “parchi” e degli “spazi aperti urbani”, in quanto i terreni potrebbero rientrarvi.
Tuttavia la
disposizione relativa ai parchi ed agli spazi aperti urbani deve, intendersi
riferita non al semplice terreno inedificato, ma al terreno ricoperto da un
parco o a quello che si inserisce in un determinato contesto architettonico
urbano.
Autorizzazione
L’autorizzazione è
prevista per l’alienazione di bene culturale allorquando titolare del bene sia
un ente pubblico o una persona giuridica senza scopo di lucro. Pertanto non sono
soggetti ad autorizzazione i beni culturali appartenenti a persona fisica oppure
a società commerciale.
Quanto alla
tipologia degli atti soggetti ad autorizzazione, il codice menziona gli atti di
alienazione, l’atto costitutivo di ipoteca e di pegno, l’atto di permuta ed
utilizza una formula onnicomprensiva: “negozi giuridici che possono comportare
l’alienazione dei beni culturali”, che concerne certamente anche gli atti di
trasferimento derivanti da processo esecutivo.
Va da sé che nel concetto di “alienazione” rientrano sia i
trasferimenti a titolo oneroso che i trasferimenti a titolo gratuito. E la
Cassazione afferma che nel concetto predetto rientrino gli atti costitutivi di
diritto reale limitato. Sono inoltre espressamente previsti gli atti costitutivi
di pegno e garanzia.
l’autorizzazione non è richiesta per i negozi giuridici che non hanno effetti reali.
l’autorizzazione deve essere preventiva rispetto all’atto
da porre in essere. Lo si desume dall’art. 55, che, per i beni demaniali,
utilizza l’espressione “non possono essere alienati senza l’autorizzazione del
Ministero”; ma lo si desume altresì dalla norma contenuta nell’art. 57, il quale
dispone che “le condizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione sono
riportate nell’atto di alienazione”, a dimostrazione testuale che il
provvedimento autorizzativo deve precedere l’atto di alienazione.
Competente a
concedere l’autorizzazione è il Ministero. La richiesta va indirizzata dal
soggetto proprietario e va corredata della destinazione d’uso in atto e da un
programma di interventi conservativi del bene.
Scopo
dell’autorizzazione è quello di porre la pubblica amministrazione nella
condizione di valutare se il mutamento di titolarità del bene possa in qualche
misura compromettere la conservazione e l’utilizzazione di quest’ultimo.
il procedimento autorizzativo come procedimento autonomo e separato rispetto al procedimento della prelazione: l'autorizzazione precede il negozio di alienazione, mentre la prelazione lo segue; l'autorizzazione va instaurata dall'ente proprietario in modo informale, a patto che sia indicato il programma utilizzatorio del bene; la prelazione va instaurata con la denuncia, formalizzata in un documento ben preciso.
La concessa autorizzazione non preclude la procedura di prelazione, che ha corso autonomo e che va impostata prescindendo del tutto dall’ottenuta autorizzazione, la quale si concentra soltanto sull’alienabilità del bene culturale senza nocumento per la collettività. Tanto è vero che è stato chiarito che il termine per l’esercizio del diritto di prelazione decorre per gli enti pubblici non dal momento di presentazione dell’istanza di autorizzazione, ma dalla data di stipula del contratto di compravendita, in quanto la prelazione presuppone un negozio ormai perfezionato.
L’atto privo di autorizzazione è nullo: se si trattasse di nullità assoluta, l'autorizzazione successiva all'atto non può valere a sanare l'atto nullo; se invece si tratta di nullità relativa, ossia di inopponibilità nei confronti del solo Stato, l'autorizzazione successiva dello Stato possa determinare un'efficacia ex tunc dell'autorizzazione stessa.
Unica eccezione alla norma, nel senso che non si richiede l’autorizzazione, è l’ipotesi di alienazione di bene culturale a favore dello Stato.
Diritto di prelazione
Caratteristiche
della prelazione sono:
a)
la possibilità di
esercizio della prelazione sia da parte dello Stato che da parte degli enti
locali; peraltro, mentre in questo secondo caso per il testo unico era sempre lo
Stato ad emettere il provvedimento di prelazione per conto dell'ente locale, il
codice attribuisce ora direttamente all'ente locale interessato il potere di
emettere il provvedimento di prelazione, appena lo Stato abbia rinunciato ad
esercitarlo in proprio;
b) in caso di mancata indicazione del prezzo di cessione del bene, o di permuta o di vendita di bene culturale in blocco con altri beni, occorre affidare a terzi la fissazione del prezzo; il testo unico prevedeva una commissione di tre membri, mentre il codice semplifica affidando la funzione di arbitratore ad una sola persona scelta di comune accordo o, in caso di disaccordo, indicata dal presidente del tribunale;
c)
il codice prevede espressamente l'ipotesi che la denuncia, condizione
indispensabile per l'esercizio della prelazione, venga omessa del tutto o
presentata tardivamente (cioè oltre i 30 giorni dall'atto di cessione del bene),
nel qual caso, “…la
prelazione è esercitata nel termine di centottanta giorni dal momento in cui il
Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli
elementi costitutivi della stessa ai sensi dell'articolo 59, comma 4" (art. 61,
secondo comma).
d)
quanto agli effetti dell'atto, il codice prevede ora la condizione sospensiva:
"in pendenza del termine prescritto dal comma 1 l'atto di alienazione rimane
condizionato sospensivamente all'esercizio della prelazione e all'alienante è
vietato di effettuare la consegna della cosa".
il negozio
giuridico, venuta meno la condizione sospensiva, acquista ex tunc tutti i
suoi effetti e la circostanza può essere fatta risultare nei registri
immobiliari con l'annotamento.
Tutto deve svolgersi entro 60 giorni dalla denuncia: da questa decorrono 30 giorni entro i quali l'ente locale deve non soltanto deliberare, ma anche impostare in bilancio la somma occorrente e comunicare al Ministero l'intento di esercizio della prelazione; sempre dalla denuncia decorrono i 40 giorni entro i quali il Ministero deve comunicare all'ente di non voler esercitare la prelazione; infine, decorrono i 60 giorni entro i quali l'ente locale deve emettere il provvedimento di esercizio della prelazione.
Denuncia
La denuncia, che la funzione della denuntiatio, è prevista in caso di trasmissione della detenzione di bene culturale a chiunque appartenente ed ha lo scopo da un lato di informare l’autorità sulle vicende circolatorie del bene e, da un altro lato, di porre la stessa Autorità in grado di esercitare la prelazione, se di questa sussistano le condizioni.
l’obbligo di
denuncia trova applicazione sia per gli atti di trasferimento della proprietà
(ripetesi: sia a titolo gratuito che a titolo oneroso), sia per gli atti idonei
a trasmettere la detenzione del bene (e quindi per i contratti di locazione, di
comodato, di deposito, di conferimento a terzo di un mandato ad amministrare con
obbligo di custodia e di manutenzione).
Nessun dubbio, ancora, che ogni atto di trasferimento di diritti reali limitati debba ritenersi assoggettato alla denuncia.
Analogamente, per gli atti mortis causa, la
denuncia va effettuata dall'erede o dal legatario.
La denuncia deve essere fatta anche in caso di
costituzione di fondo patrimoniale anche se non vi sia nessun trasferimento
della proprietà (costituente si riserva proprietà).
Il codice ha risolto
il problema stabilendo che per l'erede il termine (di 30 giorni) decorre
dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai
competenti uffici tributari; mentre per il legatario il termine decorre
dall'apertura della successione, salvo rinuncia (art. 59, secondo comma lettera
c).
Va chiarito che
in questo caso la denuncia non ha lo scopo di dare corso al procedimento di
prelazione, perché siamo al di fuori della fattispecie di alienazione del bene
culturale a titolo oneroso per atto tra vivi, l’unica che dia luogo al diritto
di prelazione artistica.
la denuncia va presentata entro 30 giorni dalla data dell’atto al soprintendente del luogo ove si trovano i beni culturali. La denuncia deve essere sottoscritta dalle parti e, non dal notaio, su cui quindi non grava l’obbligo di presentazione (anche se rientra nella sua professionalità rendere edotte le parti).
Denuncia tardiva:
se la denuncia viene
omessa o presentata oltre i 30 giorni, si apre per lo Stato un termine più ampio
per l’esercizio della prelazione (180 giorni), termine decorrente dal momento di
acquisizione della denuncia tardiva, oppure dal momento in cui comunque lo Stato
ha acquisito per sua iniziativa gli elementi conoscitivi necessari per
l’esercizio della prelazione.
- Per quanto riguarda gli effetti dell’atto medio tempore tra la presentazione della denuncia (anche tardiva) e lo scadere del termine previsto, si può affermare che il negozio di cessione a titolo oneroso resti condizionato sospensivamente negli effetti dalla data della stipula fino a che non sia data la possibilità allo Stato di esercitare il diritto di prelazione, così che decorso il dermine l’atto acquista efficacia ex tunc.
Trattasi,
conformemente a quanto affermato dalla dottrina, di condicio iuris,
prevista per legge e non per clausola contrattuale, per cui a stretto rigore non
dovrebbe essere necessaria la sua evidenziazione nei registri immobiliari .
Acquisto dello
Stato.
Il bene acquisito
diviene bene demaniale. Pertanto l’esistenza sul bene di eventuali diritti di
terzi deve necessariamente sottostare alla rigida disciplina imposta per i beni
demaniali, che prevede come unico regime la concessione amministrativa.
Né l’alienante può
riservarsi parte del bene culturale che non abbia una propria autonomia.
La Cassazione, sulla base del rilievo che non possa aversi sullo stesso bene una commistione di diritti di qualità diversa: per una quota bene demaniale, per un’altra quota bene del privato, ha negato che possa acquistarsi solo una quota del bene culturale, anziché l’intero.
Tuttavia questa interpretazione è stata più volte criticata:
Infatti non va
dimenticato che lo Stato potrebbe divenire coerede di bene culturale per effetto
di successione ereditaria e ciò non appare vietato.
Se il bene non entra totalmente nella titolarità dello Stato, non sarà possibile assoggettare quel bene alla disciplina demaniale soltanto per una parte, perché il demanio pretende che l’intero bene vi sia assoggettato, ma farà parte dei beni patrimoniali dello Stato.
La prelazione opera anche nel caso di vendita in blocco (art. 60, secondo comma), oppure allorquando lo Stato intenda esercitare la prelazione per una parte del bene (art. 61, sesto comma): esistono cioè tutta una serie di prescrizioni di legge che intendono favorire lo Stato ben oltre l’impostazione che il soggetto alienante abbia inteso attribuire al negozio di alienazione posto in essere. Ciò significa che la cessione di quota dà luogo a prelazione sempre, fermo restando che in tal caso l’acquisto dello Stato non attribuirà alla quota stessa la caratteristica della demanialità.
Tipologia degli
atti.
Occorre, in via
preliminare, differenziare immediatamente la tipologia negoziale valevole per la
denuncia, dalla tipologia negoziale valevole per la prelazione: più ampia la
prima, comprensiva anche degli
atti tra vivi a titolo
gratuito e degli atti mortis causa; più ristretta la seconda,
escludente sia gli atti mortis causa che gli atti tra vivi a titolo
gratuito.
La prelazione deve
avere ad oggetto "beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo
stabilito nell’atto di cessione” (art. 60, primo comma).
Il quinto comma,
infine, enuncia che “la prelazione può essere esercitata anche quando il bene
sia a qualunque titolo dato in pagamento”.
la giurisprudenza amministrativa è pervenuta alla
conclusione che le norme sulla prelazione artistica
collegano la possibilità dell'esercizio della prelazione da parte
dell'amministrazione non all'esistenza di un contratto tipico o ad una specifica
causa negoziale, ma all'esistenza di una regolamentazione negoziale che
comporti, comunque, un effetto traslativo della cosa soggetta a vincolo, e che
sia caratterizzata, altresì, dall'esistenza di un reciproco sacrificio
patrimoniale delle parti, allo scopo di conseguire un'attribuzione patrimoniale;
e ne ha concluso che la previsione delle norme in discorso non appare limitata a
quei negozi la cui funzione economico-sociale sia costituita dallo scambio di
cosa contro prezzo, ma si estenda a tutte le regolamentazioni convenzionali che
vedono comunque, oltre che la realizzazione di un effetto traslativo,
l'assunzioni di obbligazioni a carico di entrambe le parti negoziali.
Sulla base di queste riflessioni, è stato ritenuto che debba essere assoggettata
a prelazione anche la
permuta di bene culturale con altro bene ed altresì la
cessione della nuda
proprietà del bene culturale.
Sono inclusi
nell’ambito di applicazione della prelazione, pertanto, gli atti di
trasferimento a titolo oneroso, anche nel caso in cui
la prestazione abbia
carattere infungibile.
Nonostante, quindi,
manchi il presupposto della “parità di condizioni”, che normalmente caratterizza
il diritto di prelazione, si ritiene che quest’ultima possa essere esercitata
per ogni contratto la cui funzione sia riconducibile allo schema alienazione di
un diritto dietro corrispettivo, compresi, ad esempio, la costituzione di
rendita mediante
cessione di un bene diverso dal danaro e tutti quei negozi nei quali
l’attribuzione patrimoniale avvenga pur sempre a titolo oneroso.
La prelazione opera
anche quando la proprietà è trasferita con
riserva di usufrutto,
in quanto il carattere necessariamente temporaneo della limitazione,
unito alla possibilità comunque di effettuare controlli sulla gestione
dell’usufruttuario, giustificano tale applicazione.
Si è ritenuto invece che non operi la prelazione allorquando il contratto posto in essere sostanzi un contratto preliminare (anche con effetti anticipati) o sia trasferito un diritto reale limitato: in tal caso deve effettuarsi la denuncia, trattandosi di trasferimento della detenzione del bene, ma non opera la prelazione, perché non sembra congruente con l’acquisto del bene da parte dello stato il semplice acquisto di un diritto reale limitato.
Discusso è se la costituzione di ipoteca rientri tra gli atti soggetti a denuncia (e a prelazione) oppure, come sembra no: in tal senso infatti l’ipoteca è richiamata per l’autorizzazione ma non per la denuncia (per sicurezza è opportuno comunque sempre procedere alla denuncia).
Non è, invece,
soggetto ad esercizio della prelazione la
cessione di quota di
partecipazione ad una società che sia proprietaria di un bene culturale.
Infatti oggetto della cessione è la posizione di socio, non la proprietà del
bene, in quanto il cessionario diventa socio ma non titolare del bene.
Le stesse
considerazioni dovrebbero applicarsi anche nell’ipotesi di cessione della
totalità delle quote di una società il cui patrimonio comprenda un bene
culturale (anche se in questa ipotesi per sicurezza è opportuno metterle).
L’ulteriore
requisito affinché sussista la prelazione in favore dello Stato è che l’atto
abbia natura traslativa.
Non rientrano, pertanto, nell’ambito di applicazione della prelazione gli atti aventi natura dichiarativa. Si ritiene, quindi, inammissibile la prelazione nell’ipotesi di divisione, la quale, anche prescindendo dalla natura dichiarativa o costitutiva, non comporta un’alienazione a titolo oneroso di diritti a favore di terzi.
Esistono dubbi sulla
possibilità di inquadrare le operazioni di
fusione o scissione
in cui intervengano società proprietarie di beni culturali tra gli atti
traslativi della proprietà, che in quanto tali sono soggetti a prelazione .
Si applica invece la
denuncia in quanto formalità che consegue al trasferimento della detenzione.
Per quanto infatti
riguarda la fusione e scissione è dubbio se gli istituti siano riconducibili ad
una fattispecie estintivo-costitutiva della società scissa\fusa e delle società
beneficiarie o ad una mera modificazione dell’atto costitutivo. A seconda della
tesi adottata, l’atto sarà sottoposto o meno a prelazione (si ritiene comunque
che per tali operazioni non spetti).
Per quanto riguarda gli atti di conferimento in società era discusso se tali atti rientrassero nell’applicazione della prelazione in quanto applicabile solo agli atti a titolo oneroso. Oggi, con la modifica del Codice, è stato espressamente precisato che anche per gli atti di conferimento in società lo Stato può esercitare la prelazione.
Così per la transazione: uno dei principali motivi addotti per escludere la prelazione in caso di transazione, eccettuata quella mista, si basa sulla presunta difficoltà a ravvisare una specifica onerosità delle attribuzioni previste nel contratto, in quanto esse dipendono dalla volontà di prevenire una lite. Deve distinguersi l’ipotesi in cui il rapporto controverso riguardi la titolarità del diritto sul bene soggetto alla prelazione, perché in tal caso non potrebbe applicarsi la norma, da quella in cui l’attribuzione del bene è collegata alla soddisfazione di pregresse situazioni debitorie dell’alienante, dove è applicabile la prelazione.
Problemi applicativi possono porsi anche con riferimento alle operazioni di leasing. L’esercizio della prelazione dovrebbe spettare allo Stato sia in relazione al primo atto di compravendita, sia con riferimento al momento in cui l’utilizzatore si avvalga della facoltà di esercitare l’opzione di acquisto. In tale ultimo caso lo Stato dovrebbe corrispondere, però, per l’esercizio della prelazione non la sola somma stabilita per l’esercizio di opzione di acquisto, ma si dovrebbe tener conto anche dei canoni corrisposti dall’utilizzatore.
Natura della
prelazione.
la prelazione
artistica, ancorché prevista per legge, e quindi qualificabile come prelazione
legale, si differenzia notevolmente dalle comuni prelazioni legali (prelazione
agraria; prelazione commerciale; prelazione abitativa; prelazione del coerede)
per una molteplicità di elementi.
Infatti, sulla natura della prelazione artistica si discute sia in dottrina che in giurisprudenza, nel dubbio se essa si debba rapportare alle comuni prelazioni legali, o debba invece sottostare a regole proprie, caratterizzate dal potere statuale di supremazia per il conseguimento dell'interesse pubblico alla conservazione e al godimento dei beni culturali.
Mentre, peraltro,
nell’usuale prelazione legale il trasferimento si verifica per effetto del
negozio posto in essere, nella prelazione artistica il trasferimento si verifica
per effetto del provvedimento dell’Amministrazione pubblica, il quale va
configurato come atto amministrativo di carattere negoziale, assoggettato alle
comuni procedure di tutela.
La giurisprudenza infatti qualifica il provvedimento amministrativo con il quale viene esercitato il diritto i prelazione come “atto amministrativo recettizio”, nel senso che il suo effetto caratteristico si verifica non al momento della sua emanazione, bensì nel momento in cui l’atto viene notificato ad entrambe le parti.
la prelazione artistica, a differenza della prelazione legale dove è imposto l’obbligo della denunciatio, presuppone già compiuto il contratto di trasferimento e interviene successivamente, senza preoccuparsi di incidere sulla contrattazione privatistica, ma in sostanza prescindendone quasi del tutto, ad eccezione di due elementi: a) la prelazione artistica non opera se il soggetto titolare del bene no decide di alienarlo a terzi; b) la prelazione opera comunque a parità di prezzo, e pertanto lo Stato che esercita la prelazione è tenuto a corrispondere l'identico prezzo praticato nell'atto di cessione del bene.
Con l'esercizio
della prelazione artistica, infatti, lo Stato acquista la proprietà del bene,
proprietà che "passa allo Stato dalla data dell'ultima notifica" del
provvedimento che realizza l'esercizio della prelazione, che va notificato ad
entrambi i contraenti.
Si osserva inoltre
che:
- le clausole del
contratto di alienazione non vincolano lo Stato;
- lo Stato può
esercitare la prelazione su una parte delle cose alienate, consentendosi in tal
caso all'acquirente di recedere dal contratto;
- la prelazione va
esercitata allo stesso prezzo stabilito nell'atto di alienazione; peraltro
"qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o sia ceduto
senza previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il
valore economico è determinato d'ufficio dal soggetto che procede alla
prelazione", vale a dire dallo Stato oppure dall'ente territoriale che intende
esercitare la prelazione.
A differenza infatti dalla prelazione agraria che è efficace solo dopo il pagamento del prezzo del retratto (è subordinata alla condizione sospensiva del pagamento del prezzo), nella prelazione artistica il versamento del prezzo da parte dell'amministrazione non integra condizione del trasferimento del bene, ma si apre soltanto un contratto di debito-credito.
Nullità.
la giurisprudenza
consolidata della Cassazione, affermano trattarsi di nullità relativa, cioè di
nullità caratterizzata dal fatto che l’azione intesa a pronunciarla può essere
fatta valere soltanto dallo Stato, sul presupposto che essa costituisca una
sanzione intesa a tutelare soltanto un interesse dello Stato. Conseguenza di
questa opinione è che, non potendo le parti contrattuali agire per far
dichiarare la nullità, il negozio produce effetti tra le parti ma non per lo
Stato; in tal modo l’acquirente del bene, sulla base di una nullità che non
avrebbe riflessi nei suoi confronti, ma soltanto nei confronti dello Stato,
diviene regolarmente proprietario del bene acquisito.
Quanto al concetto stesso di nullità relativa, la dottrina obietta che:
a)
si avrebbe la stranezza di una nullità che opera di diritto, ma che può essere
fatta valere soltanto da alcuni soggetti, impedendo agli altri di ottenere una
dichiarazione di nullità che valga a definire una sostanziale situazione di
incertezza giuridica;
b)
il negozio sarebbe per una parte valido e produttivo di effetti, per un’altra
parte invalido e improduttivo di effetti, aggiungendo incertezza;
c)
una sanzione quale è quella di nullità, dettata nell’interesse generale e
pertanto a disposizione di tutti i cittadini che in qualsiasi momento sono
legittimati a farla valere, finirebbe per agevolare soltanto alcuni soggetti, in
tal modo venendo ad acquisire i connotati propri dell’annullabilità o quantomeno
dell’inefficacia relativa.
Sulla base delle
enunciate difficoltà, la dottrina è portata a declassare la nullità in discorso
in semplice inopponibilità: l’atto sarebbe sempre valido per le parti e
produttivo di effetti, ma sarebbe inopponibile allo Stato, cioè privo di effetti
nei suoi confronti. Sopravvenuta la denuncia, l’atto diventerebbe opponibile
allo Stato, che peraltro potrebbe esercitare su di esso il diritto di
prelazione.
Altra dottrina afferma invece che l’atto sarebbe efficace fra le parti ed inefficace nei confronti dello Stato prima della denuncia ed inefficace invece in toto (anche fra le parti) dopo la denuncia.
Usucapione.
Ci si è chiesti se, in caso di bene culturale, sia applicabile l’usucapione, così da poter salvare atti di trasferimento privi di denuncia o autorizzazione.
Il codice sui beni culturali non ha previsto norme che possano essere utilizzate per risolvere il dubbio e pertanto si è giunti alla conclusione della applicabilità della usucapione ventennale (1158) e della inapplicabilità della usucapione decennale (1159).
Per la realizzazione della fattispecie di usucapione abbreviata disciplinata dall'art. 1159 c.c., l'astratta idoneità del titolo, dopo che la dottrina ha precisato che il titolo per essere qualificato come idoneo "deve essere esente da vizi intrinseci, sia di forma che di sostanza, cioè deve essere in sé valido"; ed altresì chiarito che anche il negozio sospensivamente condizionato non può essere qualificato come titolo idoneo.
Opera l'usucapione
ventennale del bene ex art. 1158 c.c., perché in tal caso l'unico limite
impeditivo deve pervenire dai vizi del possesso: se si tratta di possesso né
violento né clandestino, l'usucapione di bene culturale non deve ritenersi
impedita, sul presupposto che non si tratta di bene del tutto incommerciabile.