Delle questioni relative ad alcune fattispecie di amministrazione di patrimoni.
(II parte : chiamato ex 460, erede beneficato e curatore dell’eredità giacente )
Note a margini di Studi sul tema di Claudio Trinchillo, già Notaio in Napoli
Dobbiamo ora esaminare altre fattispecie di amministrazione di patrimoni, soffermando la nostra attenzione soprattutto in tema di eredità accettata con beneficio di inventario.
Di interesse limitato ai fini delle presenti note è infatti la fattispecie di cui all’art. 460 : al chiamato dell’eredità infatti non compete la funzione di amministrazione di patrimonio ereditario ma solo la legittimazione a compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea nonché, previa autorizzazione, anche atti dispositivi sempre orientati a scopi di conservazione del patrimonio. Mentre la previsione degli atti di vigilanza si riferisce qualora l’eredità sia amministrata da altra persona, il riferimento agli atti di amministrazione temporanea e quelli di disposizione conservativa riguarda l’ipotesi in cui manchi un amministratore.
In realtà, nella situazione di pendenza contemplata dall’art. 460, manca ancora un titolare del patrimonio ereditario cui possa, allo stato, riconoscersi anche in linea astratta la titolarità del relativo reddito.
In tale situazione quindi non può nemmeno ipotizzarsi un diritto del chiamato ai frutti , salvi gli effetti del 459 cc. .
Di particolare interesse è invece la fattispecie dell’erede accentante con beneficio di inventario.
Bisogna premettere che le regole e limitazioni previste dal legislatore al riguardo non costituiscono veri e propri obblighi ma piuttosto oneri per il mantenimento del beneficio che, qualora non rispettate, comporteranno la confusione dei patrimoni.
Soltanto nella fattispecie della eredità beneficata vi è coincidenza sul piano personale tra potere di amministrazione e titolarità attuale del diritto del patrimonio, mentre nelle altre situazioni in esame ( comprese quelle del minore e dell’incapace di cui alla parte I ) il soggetto che amministra non coincide con colui al quale allo stato appartiene il patrimonio.
Per questo motivo non risulta nella legge l’attribuzione espressa del potere di amministrare all’erede beneficato ; i riferimenti all’attività amministrativa sono espressi dalle norme in chiave negativa, quale indicazione dei limiti alla libertà di amministrare, la cui inosservanza comporta la decadenza dal beneficio .
Mentre l’amministrazione dei beni del minore in potestate è orientata allo scopo di assicurare al minore condizioni di vita adeguata al suo patrimonio, nonché a conservare e se possibile incrementare le sostanze patrimoniali, totalmente diverso è lo scenario della eredità beneficata orientata esclusivamente al soddisfacimento dei crediti dei terzi verso l’eredità, eventualmente mediante operazioni liquidatorie.
In nessuna delle norme sulla eredità beneficata si parla di amministrazione straordinaria ma solo di vendita o di atti di alienazione o di disposizione, né si prende in considerazione l’eventualità di atti compiuti “per utilità evidente”, prospettiva evidentemente non congruente con il fine liquidatorio.
Tuttavia il fatto che il legislatore (art. 493) tenendo di vista la prospettiva della liquidazione, abbia istintivamente contemplato l’atto liquidatorio per eccellenza – la vendita – non può ragionevolmente far ritenere che abbia voluto circoscrivere a quella fattispecie la necessità della autorizzazione. Se il motivo che autorizza ad estendere l’applicabilità degli art. 493 e 747 cpc è connesso alla comune caratteristica del rischio che l’atto può comportare per il patrimonio ereditario, restano esclusi dall’ambito di applicazione delle dette norme quegli atti quali la riscossione del capitale che non sono astrattamente idonei a produrre un depauperamento del patrimonio amministrato.
Con l’affermazione della natura liquidatoria dell’attività non si intende escludere la possibilità di porre in essere attività tese ad incrementare il patrimonio : sarebbe infatti incongruo che l’erede, che amministra il suo patrimonio, sia in posizione peggiore rispetto a quella, per esempio, de4l curatore dell’eredità giacente che amministra per conto di terzi. La verità è che tale prospettiva non è contemplata dagli art. 493 e 747cpc ma ciò non significa che un siffatto atto non possa essere stipulato dall’erede, rientrando comunque in quella categoria di atti di disposizione che, secondo l’unanime interpretazione, costituisce l’ambito di applicazione del 747 cpc.
Circa il problema dei frutti e del rapporto tra reddito e capitale, dobbiamo chiederci se i frutti medesimi siano anch’essi destinati, come il patrimonio, al soddisfacimento delle legittime pretese dei creditori o legatari. Per l’A. non sembra che non si possa concludere che per la destinazione anche dei frutti al soddisfacimento delle pretese dei creditori dell’eredità. Decisiva sul punto appare l’art. 492 cc., in tema di garanzia che l’edere beneficato deve dare a richiesta dei creditori : la norma infatti contempla espressamente tra le voci costituenti il complessivo valore da garantire, “i frutti degli immobili” e tale indicazione non consente interpretazioni diverse.
L’A. si domanda inoltre perché il legislatore ex art. 492 cc. abbia limitato la previsione si frutti dei beni immobili e non l’abbia estesa in generale ai frutti dei beni ereditari, comprendendovi anche i mobili.
Se è vero che la prospettiva sia quella della funzione liquidatoria, ne discende che il denaro ed i valori finanziari ( ossia i mobili atti a produrre reddito ) sono destinati nel sistema al pagamento dei debiti ereditari e non ad un impiego produttivo o remunerato, e sono di interesse dei creditori solo come valore di riferimento e non come beni in sé considerati. Inoltre, al di fuori della ipotesi poco frequente della liquidazione concorsuale, i termini per procedere al pagamento dei creditori sono brevissimi così da non consentire un proficuo investimento dei capitali disponibili.
Non viè comunque dubbio che, qualora comunque abbia a prodursi un reddito dei beni mobili, anche questo sia destinato al soddisfacimento dei creditori ereditari.
Circa quindi le autorizzazioni necessarie per l’erede beneficato, nessun intervento giudiziale è richiesto per gli l’ordinaria amministrazione (nemmeno in chiave di controllo) né alcuna autorizzazione è prescritta per la riscossione di capitali ( che comunque trattasi di atto di ordinaria amm. ad eccezione nella ipotesi di cui al 320 comma 4°) ; l’erede tuttavia ha l’obbiligo (art. 496) di rendere il conto della sua gestione , obbligo sancito non nei confronti del giudice coma per il tutore ma direttamente bnei confronti dei creditori e legatari ) .Per ogni atto di disposizione che possa comportare un rischio per il patrimonio inoltre sarà necessaria l’autorizzazione ex 747 cpc con l’obbligo del reimpiego di cui al 748 cpc .
L’ultima figura da esaminare è quella del curatore dell’eredità giacente, regolata agli art. 528-532 cc e 781-783 cpc .
Il presupposto dell’istituto è la mancanza di un erede o di un chiamato che sia nel possesso dei beni ereditari ; la fattispecie si qualifica per il rapporto del titolare del “munus pubblicum” di amministratore esclusivamente con il patrimonio amministrato, stante la mancanza di un soggetto che vanti sul patrimonio un diritto attuale diverso da una aspettattativa.
Stante la natura di massa ereditaria del patrimonio amministrato, è evidente l’analogia con la fattispecie dell’erede che amministra l’eredità beneficata. Tuttavia sono rilevanti e significative le differenze dovute alla diversa natura della funzione esercitata ed al conseguente diverso livello di responsabilità, nonché alla diversa proiezione dell’attività amministrativa, prevalentemente ma non elusivamente liquidatoria.
Che tra le due fattispecie esistino cospicue affinità è confermato dal rinvio del 531 alle norme in tema di inventario, amministrazione e rendiconto dettate per l’erede beneficato.
Quanto alle differenze di disciplina, occorre sottolineare : a) dall’art. 529 è previsto un generico dovere di amministrare, il cui contenuto è certamente più ampio degli obblighi di attività amministrativa posti a carico dell’erede beneficato dalla sua responsabilità per colpa grave; b) lo stesso 529 impone il deposito fruttifero del denaro ereditario. La ragione di questa norma va ricercata nella considerazione che l’eredità giacente nasce da circostanze di fatto e temporali non significative sul piano dello stato finanziario dell’eredità, mentre l’accettazione con beneficio di inventario è connessa alla presenza di consistenti passività ereditarie; c) è evidente inoltre il taglio più pubblicistico del curatore dell’eredità giacente, e l’intervento più permeante del giudice, sia in sede di controllo su determinate fasi, sia mediante vigilanza generale sulla amministrazione. Il rendiconto inoltre è adempimento dovuto verso il giudice e non verso i creditori (come invece nell’eredità beneficiata); d) coerentemente è maggiore l’ampiezza della responsabilità del curatore dell’eredità giacente, per cui è scusa la limitazione sancita dal 491 ; e) l’art. 783 cpc fissa i termini in via ordinaria per la vendita dei mobili, regola interessante le cui ragioni ispiratrici sono probabilmente da porre in relazione con la durata indeterminata ed imprevedibile della giacenza dell’eredità, e con i fini liquidatori sempre rilevanti ; f) nel 783 comma 2° cpc è presente il riferimento alla “utilità evidente” , che non compare negli art. 747 e 748 cpc. , dato che conferma il profilo non solo conservativo ma anche incrementativi della giacenza; g) le prescrizioni della legge a carico dell’eredità giacente sono veri e proprio obblighi, la cui inosservanza comporta la sua responsabilità oltre alla invalidità degli atti senza la prescritta autorizzazione , mentre per l’erede beneficato la sola conseguenza dell’inosservanza dei precetti di cui al 493cc e 747cpc è la decadenza dal beneficio.