IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI.
1. nozione
2. Fondamento.
3. Tipi di Patti successori.
4. Invalidità degli atti esecutivi del patto obbligatorio.
5. Possibilità di conversione del patto successorio in un testamento valido
6. Insanabilità e Disciplina
7. Fattispecie particolari ammesse .
8. Donazioni mortis causa :
9. Clausole di continuazione e clausole di consolidazione (rinvio)
10. Inclusione nella divisione di beni di una futura successione
11. Mandato post mortem.
1. nozione
Il patto successorio è quella convenzione (bilaterale o unilaterale) che ha ad oggetto, in tutto od in parte, una futura successione (art. 458 c.c.).
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Cass. 1971 n.2477: “I patti successori vietati, sono da un lato quelli aventi
per oggetto una vera e propria istituzione di erede, rivestiti della forma
contrattuale e dall'altro quelli che abbiano per oggetto la costituzione,
trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora
aperta, e facciano sorgere un vinculum juris di cui la successiva disposizione
testamentaria costituisca un adempimento “
- Cass. 1979 n.2228: “La nullità dei patti successori é comminata dall'art 458 cod civ, al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione é qualificabile come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una successione non ancora aperta e faccia sorgere un vinculum iuris, di cui la successiva disposizione testamentaria costituisca l'adempimento“.
2. Fondamento.
Il fondamento giuridico che sta alla base di tale divieto ed i principi che la norma intende tutelare possono così essere riassunti:
1) Tipicità della delazione : ex art. 457 è inammissibile una delazione pattizia;
2) Tutela della libertà testamentaria e centralità della volontà del de cuius : il testare non deve essere in alcun modo condizionato nella redazione delle sue ultime volontà e quindi, benché mai da un vero e proprio contratto, essendo inoltre la struttura contrattuale irrevocabile unilateralmente;
( per i patti dispositivi-rinunciativi parte della dottrina ha ravvisato anche una esigenza di tutela dei soggetti prodighi od inesperti, nonché per scongiurare il desiderare la morte del disponente).
Dal principio della centralità del volere del testatore si ricava inoltre che:
- il testamento non può in alcun modo fondare l’affidamento altrui ;
- non si applica l’interpretazione secondo buona fede ma rileva la reale volontà del testatore
- rileva l’errore sul motivo (624) e l’errore vizio a prescindere dalla riconoscibilità e scusabilità .
3. Tipi di Patti successori.
La Dottrina ha distinto diversi tipi di patti successori a seconda del loro oggetto e precisamente:
1) Patti istitutivi: con cui si istituisce contrattualmente un erede o si mira a disciplinare rapporti e situazioni che nascono direttamente con la morte del de cuius (è quindi un negozio mortis causa);
2) Patti dispositivi: con cui si dispone inter vivos di beni/ rapporti di (o che si prevede di acquistare da) una futura successione; l’atto può essere a struttura contrattuale o unilaterale, a titolo oneroso o gratuito.
Cass.: se l’oggetto del contratto non è stato considerato dalle parti come entità di una futura successione, è una valida vendita di cosa altrui;
3) Patti rinunciativi: con cui si rinuncia inter vivos (in qualsiasi forma) a beni/ rapporti derivanti dalla futura successione; il divieto risulta anche dall’art. 557 c.c. secondo cui i legittimari non possono rinunciare al loro diritto di riduzione stante il donante vivente;
4) Patti obbligatori: sono quelli con cui ci si obbliga a disporre della propria successione in una concordata modalità od a disporre/rinunciare su diritti che spetteranno su una futura successione. Sono anch’essi nulli ex art. 458 c.c.;
5) Patti indiretti: costituiscono una attribuzione indiretta mortis causa (come il contratto a favore del 3° con designazione del beneficiario nel testamento, che ha natura di negozio mortis causa perchè ogni effetto si avrà solo dopo la morte del soggetto).
Non rientra nel divieto ex 458 c.c. la comunione convenzionale ex 210 dal momento che possono essere compresi nella comunione solo i beni acquistati per successioni gia aperte e non certo i beni che saranno acquistati in epoca successiva.
4. Invalidità degli atti esecutivi del patto obbligatorio.(una volta aperta la successione)
Secondo la tesi prevalente il testamento in esecuzione di un patto successorio obbligatorio sarebbe viziato da nullità per illiceità del motivo ex 626 (dove il motivo illecito è rappresentato dal proposito di rispettare l’impegno assunto).
Quindi:
- il patto istitutivo, dovendosi tradurre in un testamento, è nullo ex 626;
- i patti dispositivi, traducendosi in atti inter vivos, sono annullabili per errore di diritto ex 1429 n.4; ); l’atto successivo sarebbe quindi convalidabile ex 1444.
Se invece si seguisse la strada della nullità per motivo illecito (1345), rileverebbe solo se il motivo fosse comune ad entrambe le parti ;
- i patti rinunciativi, traducendosi in una rinuncia eseguita in conformità al patto successorio dopo l’apertura della successione, non potranno in seguito essere impugnati in quanto la rinuncia alla eredità (526) può essere impugnata solo per violenza o dolo e non per errore; se invece questi atti sono compiuti prima della apertura della successione, sono sicuramente nulli.
Per evitare l’invalidità basterà non menzionare l’obbligo assunto con il patto successorio obbligatorio; Secondo Cassazione infatti l’atto è comunque valido se è compiuto indipendentemente dall’ atto precedente.
5. Possibilità di conversione del patto successorio in un testamento valido:
Quanto alla possibilità che un patto successorio possa convertirsi in un testamento, prevale la tesi negativa perché sebbene sia applicabile l’art. 1424 (conversione del negozio nullo) anche agli atti unilaterali ex art.1324, è sempre necessaria l’identità di struttura tra il negozio illecito (patto successorio che ha struttura bilaterale) e quello risultante dalla conversione (testamento, che ha struttura unilaterale). Si violerebbe inoltre sia la libertà testamentaria sia il disposto dell’art. 457 per cui è consentita solo la delazione per legge o per testamento (e non per contratto).
6. Insanabilità e Disciplina
Il patto successorio è insanabile perché l’istituto eccezionale della conferma ex 590 o 799 è limitata solo per i testamenti e le donazioni, mentre i patti in questione hanno natura di contratti ereditari (p. istitutivi) o di atti i.v. (gli altri) .
Troveranno applicazione tutte le norme in tema di nullità, compreso il 1423 c.c. che esclude la sanatoria agli atti nulli.
* divieto del patto tontiniario: è il divieto del
patto che comporta una scommessa sulla premorienza di un soggetto, al di fuori
delle ordinarie forme di assicurazione della vita. *
7. Fattispecie particolari ammesse.
Le ipotesi di fattispecie lecite o patti successori consentiti perché espressamente previsti sono:
1) l’art. 1920 comma 2 per la designazione del beneficiario dell’assicurazione sulla vita, che si tratterebbe di un negozio mortis causa e non inter vivos perchè ogni effetto si avrebbe solo dopo la morte del soggetto. Se la designazione viene fatta successivamente ma non in testamento, l’atto sarà un atto inter vivos che produrrà effetti durante la vita dello stipulante e solo l’esecuzione delle prestazioni avverrà al momento della morte.
2) il patto di famiglia, che deroga espressamente il 458 c.c. e la cui disciplina sarà oggetto di apposito approfondimento;
3) Contratto a favore del terzo con effetti dalla morte dello stipulante : che è diverso dal contratto a favore del terzo con designazione del beneficiario nel testamento, dove ogni effetto si avrà solo dopo la morte del soggetto.
L’art. 1412 c.c. disciplina espressamente l’ipotesi di contratto a favore di terzo dove la prestazione deve essere fatta dopo la morte dello stipulante, che può revocare il beneficio anche con testamento. La designazione può anche essere fatta con atto successivo dallo stipulante purché con atto inter vivos.
La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questo premuore allo stipulante, salvo revoca.
La dottrina configura l’ipotesi in esame quale atto inter vivos – la cui esecuzione è solo differita - e non mortis causa (che sarebbe eccezione al 458) perché la stipulazione deve ritenersi immediatamente operante a favore del terzo come testimonia il fatto che la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi in caso di premorienza del beneficiario, cosa che non potrebbe avvenire se il terzo acquistasse il diritto della prestazione per successione. La morte è quindi qi mero termine di efficacia.
4) Negozio condizionato alla nomina dell’erede : devono ritenersi validi i negozi che, non impiegando beni ereditari, sono condizionati alla nomina di erede di una certa successione, e ciò perché il testatore (anche se beneficiario del contratto) non assume nessun impegno e resta quindi pienamente libero di fare testamento come meglio crede. Pertanto anche la condizione “se erediterò” è lecita in quanto non si dispone in tal modo di nessun diritto che possa pervenire da una futura successione.
8. Donazioni mortis causa
è la donazione in cui la morte entra nel congegno casuale (donazione in vista della morte del donante) ed è nulla ex 458 c.c. .
Si ritengono invece valide le donazioni a termine iniziale dalla morte del donante (cum moriar) e la donazione sotto condizione sospensiva della morte del donante o della sua premorienza(si moriar / premoriar). La condizione della premorienza è più discussa.
Sul punto la giurisprudenza è contrastante nell’affermane la validità o meno di tali donazioni poiché da un lato c’è l’immediata disposizione del bene e conseguente produzione di effetti negoziali: il beneficiario acquista una aspettativa giuridicamente tutelata (tesi della validità);
dall’altra è una disposizione
irrevocabile di propri beni per il tempo successivo alla morte
(tesi nullità).
In particolare mentre la
donazione sotto condizione sospensiva,
dotata di retroattività reale, retroagisce al momento della conclusione
del negozio, quella sottoposta a termine produce effetti ex nunc al momento
della morte (tesi della validità della
donazione sotto condizione e non di quella a termine).
Per la dottrina invece altro non sarebbero che valide donazioni a termine e sotto condizione.
La differenza con i patti successori sarebbe la seguente: nelle donazioni qui considerate il donatario acquista immediatamente il diritto seppure a termine iniziale/sotto condizione, con una aspettativa legalmente tutelata ex 1356 (atti conservativi) e 1357 (disporre del d.condizionato).
Cass.: - la clausola contenuta in un contratto di donazione, con cui il donante dona tanta parte di un immobile quanto basta a raggiungere il valore della disponibile, è nulla sia per indeterminabilità dell’oggetto (vivente il donante) sia ex 458 trattandosi di beni di una successione non ancora aperta.
- non configura un patto successorio il preliminare con cui il coniuge si obbligava a trasferire al figlio, alla morte del coniuge, quota di un bene che al momento del preliminare era compreso nella comunione tra i coniugi.
9. Inclusione nella divisione di beni di una futura successione
La Cass. ha ritenuto nullo ex 458, oltre che per difetto di causa, l’atto di divisione che abbia per oggetto un bene di persona vivente considerato come bene di una futura successione. Si tratterebbe di patto successorio dispositivo perché i condividenti dispongono di diritti che possono spettare loro su una successione non ancora aperta.
N.B. : divisione prima della morte presunta.
Quando è incerta la titolarità del diritto non essendo ancora stata dichiarata la morte presunta, i soggetti sarebbero privi di legittimazione ma non si ha la caducazione del negozio se risulta accertato a posteriori che tali soggetti sono effettivamente titolari di tali diritti. Non integra quindi un 458. (la determinazione del succedibile è fatta alla data della scomparsa indicata nella sentenza di morte presunta mentre la successione è eseguibile (aperta) alla data della sentenza o ivi indicata).
10. Mandato post mortem.
Si distinguono tre tipi di mandati:
1) Mandato mortis causa : è il mandato concluso in vita dal mandante che conferisce al mandatario l’incarico di trasferire dopo la sua morte beni del suo asse ereditario. E’ una attribuzione mortis causa nulla ex 458.
2) Mandato post mortem exequendum : il mandato è concluso in vita ma la sua esecuzione è differita dopo la morte e non deve avere ad oggetto il trasferimento di beni a terzi. E’ valido quindi se ha ad oggetto attività materiale (sepoltura, pubblicazione opere) o atti esecutivi di un’attribuzione già verificatasi. L’art. 1722 n.4 per cui la morte è causa di estinzione del mandato è disposizione derogabile.
3) Mandato unilaterale(o mortis causa in senso stretto) : non è un mandato che è un contratto ma un incarico ad un soggetto a compiere determinate attività, e che pertanto deve essere accettato. Se contenuto nel testamento può integrare la figura dell’esecutore testamentario o la nomina del terzo arbitratore.
Se lo si considera una proposta di mandato, al mandatario non è consentita l’accettazione dopo la morte del mandante per il principio della in trasmissibilità della proposta.(1329 comma2).
Morte del socio e Clausole di
continuazione e di consolidazione.
1. morte del socio nelle società di persone, effetti sullo scioglimento e diritti degli eredi
2. effetti della morte sullo scioglimento della società.
3. la continuazione degli eredi nelle società di persone.
4. clausole di continuazione in generale
5. clausole di continuazione facoltative
6. clausole di continuazione obbligatorie
7. clausole di continuazione automatiche
8. clausole di consolidazione.
9. clausole di continuazione nelle società di capitali.
1. morte del socio nelle società di persone, effetti sullo scioglimento e diritti degli eredi.
La regola generale stabilita dall'articolo 2284 c.c. é che in caso di morte non sia possibile il trasferimento iure haereditatis della quota sociale, diversamente da quanto previsto per l'accomandante dall'art. 2322 c.c. o nelle società di capitali.
In conformità con i principi generali operanti in materia, la morte del socio non determina nemmeno lo scioglimento generale della società, né la formale liquidazione della stessa, ancorché la società sia costituita da due soli soci, in quanto anche in tali casi si deve applicare la disciplina in esame, dovendo il socio superstite procedere anzitutto alla liquidazione della quota spettante agli eredi dell'altro socio (salvo l'eccezione prevista nell'articolo in commento), mentre si avrà lo scioglimento della società solo se, trascorsi sei mesi, la pluralità dei soci non venga ricostituita (art. 2284 e 2272 n. 4).
La Suprema Corte ha precisato che nelle società di persone composte da due soli soci, il venir meno della pluralità dei soci, per la morte di uno di essi, e la mancata ricostituzione della stessa nei sei mesi, non comporta la trasformazione del diritto, degli eredi in quanto tali, alla liquidazione della quota in diritto allo scioglimento generale della società .
Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che nell'ipotesi di società con due soli soci la domanda di liquidazione della quota da parte degli eredi va proposta nei confronti del socio superstite, non in proprio, ma in rappresentanza della società, fino a che questa resta in vita.
Secondo l'orientamento prevalente, la morte del socio determina l'immediata risoluzione ex lege del vincolo particolare che lo lega alla società e la nascita in capo agli eredi del solo diritto di credito alla quota di liquidazione.
Le altre possibili scelte previste dall'articolo in esame assumono rilievo in ordine ad una vicenda (lo scioglimento parziale del rapporto) già verificatasi.
Altri hanno invece precisato che l'acquisizione di tale diritto di credito é sottoposto alla condizione risolutiva potestativa che i soci superstiti non decidano di sciogliere la società o continuarla con gli eredi.
Un autore ha invece sostenuto che la morte del socio determina uno stato di quiescenza del rapporto sociale in attesa che le altre alternative previste dall'articolo in commento diventino operative.
Per tale motivo, in sede redazionale, è opportuno utilizzare
una formulazione omnicomprensiva (ad es.: lego a .. tutti i diritti a me
derivanti ex art. 2284 c.c. sulla mia quota di partecipazione alla società ..”).
Anche in caso di morte presunta dovrebbe applicarsi l'art. 2284.
In caso di scomparsa o di assenza, trattandosi di società personale e di impossibilità del socio di adempiere ai propri obblighi, si avrà una causa di esclusione ex art. 2286, a meno di dover provvedere allo scioglimento della società, in conseguenza della rilevanza del socio scomparso o assente.
Il diritto alla liquidazione della quota sociale rappresenta un credito ereditario che l'erede acquista al momento dell'accettazione dell'eredità del socio defunto, per cui le vicende relative a tale credito andranno regolate in base alle norme proprie sulla successione mortis causa.
L'erede del socio che accetta con beneficio d'inventario può far sì che l'inventario rifletta gli elementi, reali o documentali, idonei e necessari a stabilire, con la maggiore precisione possibile, quale fosse la situazione patrimoniale della società al momento del decesso del socio.
Il diritto degli eredi alla liquidazione della quota é soggetto alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946.
2. effetti della morte sullo scioglimento della società.
In alternativa alla liquidazione della quota sociale, i soci possono decidere di sciogliere la società e di conseguenza gli eredi non hanno più il diritto di ottenere la liquidazione della quota entro sei mesi, dovendo attendere il compimento delle operazioni di liquidazione della società.
Tale possibilità é del resto l'unica concessa se il decesso del socio si verifica quando la società si trova già in fase di liquidazione.
La decisione deve essere presa all'unanimità, salva diversa disposizione del contratto sociale, rientrando nella disciplina di cui all'art. 2272, n. 3.
Se la partecipazione del de cuius aveva carattere essenziale ex art. 1420, il socio ha però il diritto di chiedere lo scioglimento della società in quanto in questo caso opera l'art. 2272, n. 2, ossia lo scioglimento per impossibilità sopravvenuta di conseguire l'oggetto sociale.
Si ritiene che la deliberazione di scioglimento debba essere assunta entro il termine di sei mesi dalla morte, dato che entro tale termine deve essere versata la quota di liquidazione. Essendo tale termine stabilito nell'interesse degli eredi, nulla vieta che essi lo prolunghino concedendo una proroga, salvo il caso in cui la società sia rimasta con un solo socio.
Altri, richiamando anche la disciplina di cui all'art. 2270, ritengono il termine di sei mesi eccessivo ed incongruo, dovendo invece riconoscersi ai soci uno spatium deliberandi da individuarsi caso per caso, in relazione alle circostanze concrete.
Vi è chi sostiene che la continuazione tacita della società non impedisca la scelta successiva dello scioglimento.
Con riferimento ai poteri degli eredi, alcuni ritengono che essi non possano sollecitare una deliberazione della società, in quanto gli eredi non possono ingerirsi nella vita e nell'amministrazione dell'ente.
Secondo altri, invece, si avrebbe un'ipotesi di obbligazione alternativa per cui gli eredi possono chiedere al giudice di fissare un termine al società per decidere lo scioglimento, in analogia con le ipotesi di cui agli artt. 1286 e 1399 .
Questa tesi é stata criticata sul rilievo che esiste solo un obbligo di liquidazione della quota e non anche un obbligo di scioglimento della società.
Vi é invece chi ha affermato che la situazione si inquadra in quella dell'obbligazione con facoltà alternativa: la società ha l'obbligo di liquidare la quota, ma può sottrarsi a tale obbligo, ponendosi in liquidazione.
Secondo alcuni, in caso di scioglimento della società, gli eredi possono prendere parte alle operazioni di liquidazione poiché subentrano nella posizione del defunto in quanto gli obblighi inerenti alla partecipazione di una società in stato di liquidazione non hanno carattere personale e pertanto sono suscettibili di trapasso.
Secondo altri autori, gli eredi non hanno diritto di partecipare alle operazioni di liquidazione, tenuto conto che altrimenti essi sarebbero esposti a responsabilità per le obbligazioni sociali contratte dalla società durante la liquidazione. Gli eredi potranno eventualmente farsi assistere da un loro legale rappresentante.
Di recente, la giurisprudenza ha affermato che gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società né possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione.
3. la continuazione degli eredi nelle società di persone.
In linea generale, perché la società continui con gli eredi occorre sia il loro consenso sia il consenso dei soci superstiti.
Da un lato, infatti, l'intuitus personae che caratterizza le società di persone non consente l'ingresso di nuovi soggetti senza il consenso dei soci preesistenti.
Dall'altro, i poteri e le responsabilità che conseguono alla partecipazione sociale in questi tipi di società non permettono di prescindere da un atto di volontà dell'erede .
L'ingresso degli eredi in società non si attua in via di trasmissione ereditaria, ma per atto tra vivi.
Il consenso dei soci superstiti consiste in una modificazione del contratto sociale, ex art. 2252, che aggiunge nuovi soci a quelli preesistenti.
L'unica differenza derivante dalla circostanza che i nuovi soci sono eredi di un socio defunto é che essi non saranno tenuti ad eseguire alcun conferimento in società, valendo a tal fine il conferimento del de cuius .
Si ritiene necessario il consenso unanime dei soci, a meno che sia prevista una deliberazione maggioritaria .
In caso di più eredi ed in assenza di una volontà espressa si ritiene che la quota sociale del defunto si divida fra gli eredi, per cui ciascuno subentra in proporzione delle sue ragioni ereditarie.
E' altresì possibile che la società continui solo con alcuni degli eredi per la parte di quota loro spettante, salvo l'obbligo della società di liquidare agli eredi che non intendono aderire la loro parte di quota.
Secondo la giurisprudenza di merito, tutti gli eredi diventano soci in relazione alla quota spettante al loro dante causa, rendendosi necessaria la nomina di un rappresentante comune che esprima la volontà del gruppo in modo unitario.
L'accordo di continuazione non è soggetto alla forma scritta (eccettuata l'ipotesi in cui la società possieda beni immobili), potendo anche risultare da fatti.
E' stato peraltro affermato che non costituisce fatto concludente la mancata liquidazione della quota agli eredi nel termine dell'art. 2289 .
Nel caso in cui vi sia un solo socio superstite, la continuazione della società può essere decisa dai soci superstiti nel termine di sei mesi concesso per la liquidazione della quota e per la ricostituzione della pluralità .
L'accordo può essere preso anche decorso il termine di sei mesi, fino a che non sia stata liquidata la quota .
In questo caso però non vi é successione degli eredi nella posizione del defunto, ma ingresso degli eredi come nuovi soci, il cui conferimento é dato dall'importo della quota di liquidazione .
Non essendo effetto di successione ereditaria, la responsabilità dell'erede é la stessa di chi entra a far parte di una società già costituita (art. 2269) .
Si afferma che la responsabilità per le obbligazioni sociali é illimitata anche se egli abbia accettato l'eredità con beneficio di inventario poiché non operano i principi in tema di successione ereditaria.
Nel caso in cui uno o più eredi siano minori o incapaci occorre avviare la procedura di autorizzazione all'esercizio dell'impresa. E' stato sostenuto che tale autorizzazione può anche essere concessa a posteriori, con efficacia retroattivamente sanante.
4. clausole di continuazione in generale.
Le clausole di continuazione non costituiscono patti successori perché non hanno natura di atto mortis causa ma sono convenzioni con effetti immediati, anche se sospensivamente condizionate alla premorienza del socio.
Un
criterio di carattere generale individuato dalla dottrina per dirimere le
questioni, è che “i principi propri della successione possono spiegarsi finché
non vengono a collidere con quelli della società, nel qual caso prevalgono
questi ultimi.”
La norma consente che il contratto
sociale preveda un regime convenzionale per il caso di morte di uno dei soci.
Esigenze fondamentali sono:
a) i soci superstiti non debbono
trovarsi soci di persone non scelte;
b)gli eredi non debbono essere
esposti ad una responsabilità illimitata senza una autonoma manifestazione di
volontà .
*patto tontiniario: divieto del patto
che comporta una scommessa della premorienza, al di fuori delle ordinarie forme
di assicurazione della vita. *
5. clausole di continuazione facoltative.
Tale clausola vincola i soci superstiti imponendogli di continuare la società con gli eredi del socio defunto, i quali conservano la facoltà di aderire o no al contratto sociale e chiedere quindi la liquidazione della quota. La clausola, che si traduce in un'autolimitazione dell'autonomia contrattuale dei soci, viene concordemente considerata valida poiché non vincola gli eredi, i quali avranno un diritto potestativo di entrare in società.
Peraltro, con riferimento alla società in accomandita semplice, la clausola é stata ritenuta invalida qualora preveda l'automatica trasmissibilità all'erede del socio accomandatario anche del munus di amministratore e la designazione sia fatta in incertam personam.
Perché gli eredi assumano la qualità di soci non é sufficiente che abbiano accettato l'eredità ma é necessaria una positiva manifestazione di volontà di subentrare nella società.
Per quanto concerne la qualificazione giuridica, secondo alcuni tale clausola darebbe luogo ad una proposta irrevocabile che gli eredi avrebbero facoltà di accettare per cui il fenomeno si dovrebbe ricondurre all'ipotesi di opzione ex art. 1331. Secondo altri, invece, tale clausola ha natura di contratto a favore di terzo.
6. clausole di continuazione obbligatorie.
Con tale clausola viene imposto anche agli eredi, e non solo ai soci, l'obbligo di continuare la società.
La giurisprudenza ha affermato la validità di tale clausola, così come della clausola di continuazione automatica . La dottrina invece é divisa.
Secondo alcuni le clausole di continuazione obbligatoria sarebbero valide poiché si tratta di un obbligo che fa parte del patrimonio ereditario e che necessariamente fa carico a chi subentra in universum jus.
Per un autore tale obbligo a contrarre sarebbe produttivo degli effetti di cui all'art. 2932.
Altri hanno invece escluso che tale obbligo sia suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932, per cui se gli eredi non aderiscono i soci superstiti avranno diritto solo al risarcimento dei danni.
Secondo dottrina prevalente la clausola può essere considerata come promessa del fatto del terzo(1381): se l'erede, quale terzo del quale il socio defunto aveva promesso l'adesione alla società, non vi aderisce, sarà tenuto al risarcimento del danno(rectius:indennizzo) quale erede del promittente.
La critica di maggior rilievo consiste nella incompatibilità delle clausole obbligatorie con la necessità di una autorizzazione nel caso di erede minore, a seguito di una valutazione di opportunità dell’atto da parte del giudice competente.
A parere di un altro autore anche queste clausole, così come quelle di continuazione automatica, sono nulle perché violano il divieto dei patti successori in quanto il de cuius, nello stipulare il contratto sociale, verrebbe altrimenti a vincolare un comportamento dell'erede, in contrasto con l'art. 458 .
7. clausole di continuazione automatiche.
Tale clausola differisce da quella di continuazione obbligatoria perché l'accettazione dell'eredità comporta l'assunzione automatica della qualità di socio, senza alcuna necessità di un'esplicita adesione al contratto sociale .
La giurisprudenza ha affermato la piena validità sia della clausola di continuazione obbligatoria sia della clausola di continuazione automatica poiché l'erede può sempre rifiutare l'ingresso nella società rifiutando l'eredità, nella quale sono comprese le quote sociali che costituiscono un bene patrimoniale del socio defunto .
La giurisprudenza sostanzialmente condivide l’opinione dottrinaria secondo la quale la responsabilità sociale opera su un piano diverso da quello della responsabilità per i debiti del de cuius: la responsabilità intra vires riguarda i debiti ereditari sorti prima dell’ingresso in società, mentre la responsabilità illimitata riguarda i debiti sociali sorti successivamente.
Secondo la Cassazione, l'erede può accettare l'eredità con beneficio di inventario, senza che ciò contrasti con la sua responsabilità illimitata come socio, poiché tale responsabilità riguarda le obbligazioni che egli assumerà come socio e di cui dovrà rispondere con l'intero suo patrimonio mentre il beneficio di inventario comporta che egli risponde delle obbligazioni del defunto nei limiti del valore dell'eredità.
Cass. n. 2815 del 1976: “l'erede può accettare l'eredità con beneficio d'inventario, senza che ciò contrasti con la sua responsabilità illimitata come socio, poiché tale responsabilità riguarda le obbligazioni che egli assumerà come socio e di cui dovrà rispondere con l'intero suo patrimonio mentre il beneficio d'inventario comporta solo che egli risponde delle obbligazioni del defunto nei limiti del valore dell'eredità”.
La giurisprudenza del pari nega che costituisca una violazione della disciplina della successione nei rapporti societari, essendo prevista esplicitamente dall’art. 2322, 1° comma, (che riguarda il socio accomandante) c.c. (Cass. n.12906 del 1995). E’ significativo che questa sentenza qualifichi siffatta clausola come post mortem (vale a dire atto destinato ad avere efficacia dopo la morte), così distinguendola dagli atti mortis causa (nei quali viceversa la morte è la causa, ragione tecnico giuridica, dell’atto), premessa necessaria per negare trattarsi di patto successorio.
La Suprema Corte ha altresì esplicitamente escluso che la clausola di continuazione automatica sia riconducibile allo schema tipico del patto successorio di cui all'art. 458, in quanto quest'ultima norma ha carattere eccezionale e non è quindi suscettibile di applicazione analogica.
La dottrina prevalente ritiene tuttavia che tale clausola sia nulla.
Essa contrasterebbe anzitutto con le norme del diritto successorio in tema di accettazione con beneficio di inventario (artt. 470 e 490) poiché l'erede deve rispondere senza limiti anche dei debiti sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio e non può quindi esercitare il beneficio .
Contrasterebbe inoltre con le norme dettate in tema di società, le quali stabiliscono che non si possa divenire socio a responsabilità illimitata senza una propria dichiarazione di volontà.
Si pronuncia invece per la validità di tale clausola Cottino, il quale evidenzia che con il beneficio di inventario la responsabilità dell'erede per le obbligazioni già maturate (art. 2269) sarà limitata al solo patrimonio del de cuius.
La giurisprudenza ha affermato che se la clausola di continuazione attribuisce la facoltà di subentrare solo a determinate categorie di eredi (nella specie, maschi), l'obbligo di soddisfare le pretese degli eredi esclusi sulla parte di quota ad essi spettante in virtù del diritto successorio é a carico degli eredi subentranti e non della società .
Si ritiene che nel contratto sociale possa prevedersi la continuazione, anziché con gli eredi, con i legatari, rimanendo incoartata la volontà di questi.
In ogni caso si dice che debba essere garantita la libertà di continuazione, pena l'esistenza di un patto successorio .
8. clausole di consolidazione.
L'art. 2284 consente alle parti di stabilire una disciplina in materia che deroga a quella legale.
Il contratto sociale può contenere la c.d. clausola di consolidazione che prevede il progressivo consolidamento delle quote dei soci deceduti in capo ai soci superstiti.
Le clausole di consolidazione possono essere pure, e cioè stabilire la consolidazione delle quote dei soci deceduti in capo ai superstiti, escludendo il diritto alla liquidazione della quota. Tali clausole sono state ritenute invalide o per violazione del patto leonino o perché rappresentanti un patto successorio ex art. 458, in quanto escludono del tutto la libertà testamentaria.
Sono invece valide le clausole di consolidazione cd. impure che prevedono che la quota venga liquidata tenendo conto del valore effettivo della stessa o secondo determinati criteri .
In una posizione intermedia si collocano le clausole di consolidazione al valore nominale, che pur riconoscendo il diritto alla liquidazione della quota, ancorano il relativo valore al mero rimborso del valore del conferimento.
La validità di tali clausole é stata contestata con riferimento sia al divieto dei patti successori, sia al divieto delle pattuizioni tontinarie, sia al divieto del patto leonino .
9. clausole di continuazione nelle società di capitali.
Nelle società di capitale vige generalmente la regola opposto che abbiamo esaminato nelle società di persone e quindi, le azioni/quote sono generalmente trasmissibili agli eredi, salvo quanto stabilito negli statuti o nel testamento.
Esaminiano ora più dettagliatamente come gli Statuti sociali possono limitare la trasmissione iure successionis della partecipazione societaria:
- Nelle SPA: ai sensi dell’art. 2355 bis comma 3 non si può prevedere l’intrasmissibilità assoluta delle azioni.
Si considera tuttavia legittima la clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti il diritto di opzione ad acquistare dagli eredi le azioni cadute in successione.
Questa clausola infatti non incide sulla successione né ne deroga le regole ma la presuppone dal momento che le azioni saranno acquistate dagli eredi e la morte è solo l’evento a cui è subordinata l’efficacia della opzione.
- Nelle SRL: l’art. 2469 consente di prevedere l’intrasmissibilità delle quote.
Tuttavia o si deve ritenere eccezionalmente ammessa la consolidazione pura (tesi minoritaria) oppure bisogna sempre prevedere il pagamento della liquidazione agli eredi.
Se nessun problema vi è quando sono i soci stessi a provvedere alla liquidazione, maggiori perplessità desta l’ipotesi in cui sia la società a liquidare la quota agli eredi, e ciò sia per la tutela del patrimonio sociale in quanto si verificherebbe una riduzione del capitale non prevista (per chi ritiene che vi sia il principio di tassatività delle cause di riduzione) sia perché urterebbe con il divieto di acquisto di quote proprie ex 2474 .
Aderendo ad una lettura combinata del 2469 e 2474 si può giungere ad ammettere che anche la società stessa possa liquidare la quota spettante agli eredi, avendo in questo caso il legislatore previsto un obbligo implicito di riduzione del capitale.