Il concetto di quota mobile e commento alla recente sentenza delle Sezioni Unite in tema di rinuncia dell'eredità.
La quota mobile
Il legittimario rinunziante all'eredità, alla quale sia stato chiamato dal testamento o ab intestato, o all'azione di riduzione nella ipotesi in cui sia stato pretermesso, perde la qualità di legittimario e deve essere considerato un estraneo.
Ciò si desume, tra l'altro, dall'art. 552 laddove stabilisce che il legittimario che rinuncia all'eredità può solo ritenere donazioni e legati da imputarsi alla quota disponibile (e quindi non come legittima).
Secondo un precedente orientamento che poteva dirsi quasi consolidato, nella successione necessaria la rinunzia di uno dei legittimari in concorso non dà luogo ad accrescimento in senso tecnico (fenomeno proprio della successione testamentaria), bensì ad un incremento della partecipazione ereditaria degli altri legittimari nella misura risultante dall'applicazione delle norme che determinano la quota riservata in relazione alla diversa ipotesi di concorso che viene a determinarsi a seguito della rinunzia.
Tuttavia recentemente è intervenuta la Sentenza Cass.Sezioni Unite civili – Sentenza 12 giugno 2006 n. 13524 secondo cui “ai fini dell’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria, occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinuncia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari”.
Il mancato
esercizio dell’azione di riduzione quindi (per rinuncia o per prescrizione) da
parte di alcuni dei legittimari non determina l’aumento delle quote di legittima
spettanti agli altri legittimari, poiché per l’individuazione della quota di
riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli
legittimari nell’ambito della stessa categoria è necessario fare riferimento
alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione.
Così stabilisce la sentenza delle SS. UU. della Corte di Cassazione n. 13524 del
12 giugno 2006 – che compie un “giro di boa” rispetto al precedente indirizzo
giurisprudenziale - in ordine al ricorso di un discendente che chiedeva, a causa
del mancato esercizio dell’azione di riduzione da parte di un altro legittimario
della stessa categoria, l’accrescimento della quota teorica di riserva.
Questa sentenza
che si riferisce all’ipotesi di rinuncia all’azione di riduzione, si può
applicare anche all’ipotesi di rinuncia all’eredità.
In particolare, i giudici di legittimità affermano che:
- l’art. 522 c.c. non possa essere applicato analogicamente alla successione
necessaria dal momento che verrebbe a mancare il presupposto logico
dell’accrescimento, cioè la chiamata ereditaria;
- il dato letterale delle norme in tema di successione necessaria indica, con
tutta evidenza, che, ai fini del calcolo della quota di riserva, si deve fare
riferimento alla situazione cristallizzata al momento dell’apertura della
successione.
L’ininfluenza sulla quota di riserva della rinuncia all’azione di riduzione da
parte del legittimario non comporta – secondo i giudici della S.C. - alcuna
incertezza sul destino dei beni ereditari dal momento che questi saranno
conservati dagli eredi, dai donatari o dai legatari in misura maggiore rispetto
a quella di cui poteva disporre il de cuius.
Sorte dell’eredità a cui un erede ha rinunciato:
La parte di eredità, cui il legittimario ha rinunciato, non cade in successione legittima.
Una cosa è dire che la quota nella quale è stato istituito un erede, ad esempio del 20%, una volta rinunciata, viene attribuita ab intestato (no); ed una cosa è dire che la quota di legittima di ¼ dopo la rinuncia all’azione di riduzione non può essere pretesa da nessuno! La quota di legittima è una quota astratta.
Inoltre bisogna sempre ricordare che si deve applicare il 553 secondo cui: Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell' articolo 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati).
Il 553 ci dice perciò che – nel concorso di una successione legittima con una testamentaria - se c’è quindi una successione ex lege, si deve andare prima a ridurre quello che è partito ex lege.
7. Commento alla sentenza delle S.U.
Le S.U. hanno
rigettato la configurabilità della c.d. “espansione” della quota.
Gli argomenti della tesi che non è stata accolta e che le S.U. hanno preso in
esame sono:
1) Il primo argomento esaminato (criticamente) è stato che occorre tenere
presente che, a norma dell'art. 521 c.c., la rinunzia all'eredità è retroattiva
nel senso che l'erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato
chiamato all'eredità. È dunque impossibile far riferimento alla situazione
esistente al momento dell'apertura della successione, dal momento che tale
situazione è soggetta a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto
retroattivo. È quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e
non a quella teorica, riferita al momento dell'apertura della successione,
indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far
riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell'asse
ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto
partecipare.
Anche in dottrina si è invocato il principio della retroattività della rinuncia
fissato nell'art. 521 c.c., e si è sostenuto che un argomento a favore dello
stesso sarebbe desumibile dall'art. 538 cod. civ., che regola la riserva
spettante agli ascendenti "se chi muore non lascia figli legittimi", in quanto
la norma dovrebbe applicarsi soltanto nel caso in cui l'ereditando non abbia
avuto figli o questi siano tutti presenti o assenti; se invece sopravvivessero
figli capaci di succedere e tutti rinunziassero, si dovrebbe concludere nel
senso che o rimane ferma a beneficio degli ascendenti la quota riservata di due
terzi stabilita dall'art. 537 c.c., oppure che non sorge alcun diritto di
riserva in favore degli ascendenti, conclusioni, l'una e l'altra, evidentemente
inammissibili.
In altri termini in presenza di ascendente e più figli, rinunciando questi
ultimi all’eredità, si dovrebbe ritenere o che la quota di riserva loro
destinata rimane ferma e gli ascendenti subentrano in essa, o che, malgrado la
rinunzia, poiché figli vi erano al momento dell’apertura della successione,
l’ascendente non aveva alcun diritto alla riserva.
Parte della
dottrina ha criticato questa impostazione: Le S.U. distinguono infatti tra
successione legittima e successione necessaria. Ed affermano che il principio
della retroattività della rinuncia per la successione legittima, è reso
necessario, perché altrimenti non si saprebbe a chi deve essere attribuita la
quota del rinunciante.. [In effetti nella istituzione testamentaria, ove
l’attribuzione fatta ad uno o più degli eredi, risulti lesiva della legittima,
qualora uno di questi eredi lesi rinunci alla eredità, si verifica
l’accrescimento previsto dall’art. 674; nella successione legittima .avviene
altrettanto per l’effetto retroattivo della rinuncia ed il conseguente
accrescimento in favore degli accettanti].
Invece nella successione necessaria, mancando una chiamata congiunta ad una
quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di
riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il
fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il
presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall'altro, non esistono
incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al
legittimario che non eserciti l'azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i
legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di
quella di cui quest'ultimo avrebbe potuto disporre. In altri termini aumenta la
disponibile.
2) La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per
l'adesione alla tesi finora sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza.
Dalla formulazione degli artt. 537 cod. civ., comma 1 ("se il genitore lascia"),
art. 538 cod. civ., comma 1 ("se chi muore non lascia"), art. 542 cod. civ.,
comma 1 ("se chi muore lascia"), art.542 cod. civ., comma 2 ("quando chi muore
lascia"), risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo
della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell'apertura
della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine,
l'esperimento dell'azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei
legittimari.
Non essendovi una lacuna legislativa, considerata la lettera delle espressioni
riportate, non vi è luogo ad una interpretazione analogica.
3) La ratio ispiratrice della successione necessaria, non è solo quella di
garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma
anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest'ultimo di
sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria
famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi. È evidente che
l'esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota
dovesse essere determinata, successivamente all'apertura della successione, in
funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l'azione di riduzione.
4) Inconveniente: Solo dopo la rinunzia all'esercizio dell'azione di riduzione
da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno
degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con
evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di
cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi.
5) Nè utili argomenti a favore della tesi criticata possono desumersi dall'art.
538 cod. civ.
In primo luogo, nel ragionamento sopra trascritto è incomprensibile il
riferimento ad una quota pari a due terzi [così come affermato dalla ricorrente
con il primo motivo: ma si è visto sub a) quale sia l’implicito ragionamento]
riservata in favore dagli ascendenti dall'art. 537 cod. civ., dal momento che
tale disposizione fa riferimento alla quota riservata ai figli legittimi o
naturali.
Ed in effetti la quota di due terzi è prevista solo dall’art. 537, secondo
comma. E questo si riferisce ai figli legittimi o naturali
6) La tesi accolta dalle S.U. è stata inoltre criticata in quanto ove
sopravvivessero al de cuius figli legittimi e tutti rinunziassero non sorgerebbe
alcun diritto di legittima a favore degli ascendenti.
Si deve distinguere a seconda che la rinunzia viene riferita all'accettazione
dell'eredità o all'esperimento dell'azione di riduzione.
6.1.) Nel primo caso (rinuncia all’accettazione dell’eredità) un problema di
tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore si
aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli
legittimi, a seguito della rinunzia all'eredità, considerarsi come mai chiamati
alla successione.
6.2.) Nel secondo caso (rinunzia all’azione di riduzione) la esclusione della
configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe
espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una
quota del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al
coniuge) esistenti al momento dell'apertura della successione. I parenti di
grado successivo, che sono considerati come legittimari solo in mancanza di
quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in
caso di mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte di questi ultimi.
Il definitiva, il legislatore ha considerato il fatto che il de cuius disponga
dell'intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo
discendenti o solo ascendenti; ed in tal caso ha previsto a loro favore la
possibilità di esperire l’azione di riduzione.
Non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i
quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto
dell'intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti
(unici legittimari considerati) non esperiscano l'azione di riduzione.
[Nel caso esaminato dalle S.U. si è confermata la sentenza della Corte di App.
che aveva negato che la figlia che aveva agito in riduzione contro la donazione
della madre, avesse diritto ad una quota eccedente il sesto (1/6); e che aveva
negato che la quota delle figlie legittimarie pretermesse e rinuncianti
all’azione di riduzione, si accrescesse alla legittima dell’unica figlia
pretermessa che agiva in riduzione.]
Per Azzariti il legittimario potrà agire in riduzione per ottenere la metà, (non
i due terzi) ai sensi del 1° comma dell’art. 537 c.c. (essendo rimasto unico
legittimario a seguito della rinuncia degli altri, e dovendosi tenere conto
della situazione concreta, a seguito della rinunzia, e non della situazione
esistente all’apertura della successione). Per contro per le S.U. è a
quest’ultima situazione che occorre riferirsi, e pertanto la legittimaria può
agire (nel caso in esame dalle S.U. vi era stata donazione di tutto il
patrimonio ai sei nipoti nati da tre sorelle della ricorrente –le quali avevano
rinunziato ad agire in riduzione-, ed una quarta figlia pretermessa, agiva in
riduzione nei confronti degli eredi), per ottenere che le sia attribuito un
sesto ( e non, come preteso i 2/3 o la metà ), applicandosi il secondo comma
dell’articolo anzidetto (due terzi, pari a quattro sesti, alle quattro figlie, e
pertanto un sesto ad ognuna di esse) , del patrimonio del de cuius, andando ad
accrescersi i restanti tre sesti, per i quali vi è stata rinuncia, alla
disponibile (“ i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una
porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest'ultimo avrebbe
potuto disporre.”).
La
differenza tra successione legittima e c.d. successione necessaria, è netta e
generalmente accolta in dottrina: nel primo caso, in caso di rinuncia, succedono
gli eredi legittimi, nel secondo si tratta di eredi legittimari ai quali la
legge riserva una quota che, per effetto ad esempio di precedenti donazioni o di
disposizioni testamentarie, risulta essere stata lesa, e da ciò il diritto del
legittimario ad agire in riduzione.
La lesione della quota, consente di presumere che il de cuius intendesse
attribuire al legittimario tutt’al più quanto imponeva la legge; si consideri al
riguardo il terzo comma dell’art. 674 “l’accrescimento non ha luogo quando dal
testamento risulta una diversa volontà del testatore”. Ciò è implicito nella
motivazione delle S.U. laddove è scritto: “Il legislatore, infatti, si è
preoccupato di far sì che ad ognuno del legittimari considerati sia garantita
una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di
quest'ultimo”. La volontà del testatore, è di negargli persino la legittima, che
infatti è subordinata all’esercizio dell’azione di riduzione; subentra la legge
che gli riserva una quota proporzionale determinata a seconda della qualità e
del numero dei legittimari. Si potrebbe dire che il testatore, sfavorendo un
legittimario (non potendo ignorare la esistenza di una riserva per legge), è
come se manifestasse la volontà di attribuirgli una parte dei suoi beni pari
alla quota di riserva ed a condizione che eserciti l’azione di riduzione. Per
effetto della rinuncia di altro co-legittimario, farlo partecipare ad una quota
maggiore di quella prevista per legge, non corrisponde alla situazione nota al
de cuius e si discosta dalla volontà da questi implicitamente espressa con la
lesione della legittima (cioè di non volergli attribuire, in ogni caso, più
della legittima, ed anche questa soltanto se il legittimario esercita il diritto
di riserva e l’azione di riduzione).
D’altra parte appare esatto il rilievo contenuto nella motivazione delle S.U:
“,il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga
dell'intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo
discendenti o solo ascendenti; non ha considerato, invece, iniquo il fatto che
rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e
ascendenti, abbia disposto dell'intero suo patrimonio a favore di estranei, nel
caso in cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano
l'azione di riduzione.” E’ infatti significativo che il legislatore abbia
previsto la riserva a favore degli ascendenti (art. 538) anche con il coniuge
(art. 544) esclusivamente nel caso che “chi muore non lascia né figli legittimi,
né figli naturali”, ed abbia previsto la successione legittima degli ascendenti
(art. 569: nel caso che muoia “senza lasciare prole, né genitori, né fratelli o
sorelle o loro discendenti”), ma non abbia previsto che gli ascendenti
subentrino nel diritto di riserva, nel caso che i figli non intendano accettare
l’eredità.