Le obbligazioni convertibili.
Le obbligazioni convertibili (convertible bond) attribuiscono al titolare, oltre al diritto al rimborso del capitale prestato e degli interessi, il diritto alla conversione in azioni, da liberare mediante la stessa somma versata all’atto di sottoscrizione delle obbligazioni, secondo il rapporto di cambio.
Contestualmente alla delibera di emissione di obbligazioni convertibili, la società dovrà deliberare un aumento di capitale a servizio della conversione, che sarà sottoscritto contestualmente ed automaticamente alla sottoscrizione delle obbligazioni e liberato con la dichiarazione dell’obbligazionista di convertire (il debito alla restituzione del denaro che la società aveva nei confronti dell’obbligazionista “si converte” in sottoscrizione dell’aumento di capitale a copertura delle azioni convertite).
Per quanto detto, L’aumento gratuito NON può essere a servizio del prestito obbligazionario perché l’art.2442 c.c. prevede che può essere solo a favore degli stessi soci della società: questa è una regola inderogabile.
La natura giuridica del prestito obbligazionario convertibile è un mutuo con un patto di opzione, secondo la tesi prevalente, ossia di novazione del rapporto di mutuo in “rapporto sociale”, per cui con una dichiarazione unilaterale di volontà si ha la possibilità di trasformare il credito derivante dal prestito obbligazionario in partecipazione sociale.
L’operazione, sotto il profilo strutturale, può essere scomposta in due rapporti collegati: contratto di mutuo (obbligazioni semplici) e patto di conversione, il quale ha natura di patto di opzione.
La qualifica in termini di opzione ex 1331 discende dalla disciplina dl 2420 bis: è rimesso infatti esclusivamente all’obbligazionista la decisione se convertire o meno, il quale ha pertanto un diritto potestativo nei confronti della società emittente, che si trova in una posizione di soggezione.
Discusso è tuttavia il procedimento in base al quale si realizza la conversione: parte della dottrina afferma che l’esercizio del diritto di conversione rende esigibile il credito incorporato e contemporaneamente fa sorgere l’obbligo del conferimento. Si realizzerebbe quindi una ipotesi di compensazione (volontaria o legale) tra debiti e crediti reciproci.
Altra dottrina ritiene invece che il diritto alla conversione determini una novazione causale del rapporto di mutuo in partecipazione azionaria: ciò che cambia è il titolo alla base dell’apporto e la disciplina del rapporto stesso.
Le obbligazioni convertibili devono essere offerte in opzione agli azioni e agli obbligazionisti convertibili (precedenti) ai sensi del 2441, al fine di permettere di mantenere i medesimi assetti societari.
Si discute se anche in questa ipotesi sia applicabile la disciplina del 2441 sulla esclusione o limitazione dell’opzione secondo la disciplina legale: parte della dottrina sostiene la tesi negativa, sulla base della lettera della norma (che riferisce la limitazione dell’opzione alla sola emissione di azioni e non di obbligazioni convertibili) nonché sulla difficoltà di applicare il comma 6 (relazione degli amministratori e del Collegio sindacale). Altra dottrina (Campobasso) sostiene la tesi positiva, dal momento che, anche per le obbligazioni convertibili è possibile individuare gli stessi interessi dell’esclusione dell’opzione per l’emissione di azioni, e la conseguente applicabilità del comma 6 con gli opportuni adattamenti.
L’art. 2410 bis in perfetta coerenza con l’art. 2438 stabilisce che l’emissione potrà essere adottata solo se il capitale sia stato interamente versato, dal momento che la società ha l’obbligo di procedere ad un aumento di capitale a servizio della conversione. Dottrina e giurisprudenza ritengono inammissibile la delibera di immediata emissione di obbligazioni con riserva di procedere in seguito all’aumento di capitale a servizio, al momento della conversione. Detto aumento deve essere deliberato contestualmente, previo ripianamento delle perdite rilevanti, dal momento che in presenza di perdite, la società non può deliberare un aumento (che si risolverebbe in uno strumento per aggirare la disciplina della riduzione del capitale).
E’ solo con riguardo al capitale sottoscritto che sussiste l’obbligo di versamento (mentre se l’aumento è stato solo deliberato ma non sottoscritto sarà possibile una nuova delibera di aumento o di emissione di obbligazioni). Dal momento che l’aumento a servizio della conversione è da considerarsi solo deliberato fino all’esercizio della conversione, e solo con quest’ultima si intende proporzionalmente sottoscritto, in pendenza di un prestito obbligazionario sarà possibile deliberare un aumento di capitale o l’emissione di un ulteriore prestito obbligazionario.
Anche nella ipotesi di emissione di prestito convertibile, dovrà essere rispettato il limite generale di cui all’art. 2412.
Dopo la novella del 2003 non è stato più riprodotto il divieto di emissione di obbligazioni convertibili “sotto la pari” ossia per somme inferiori al loro valore nominale (in sede di conversione) ma si rinvia solo genericamente all’art. 2346 comma 5 per cui il prezzo complessivo delle obbligazioni non potrà essere inferiore al complessivo capitale sottoscritto in sede di conversione: sarà quindi possibile prevedere un prezzo di emissione (es. 0,50) anche inferiore al valore nominale delle azioni (es. 1€) purchè sia fissato un adeguato rapporto di cambio (2 obbligazioni per un’azione), in modo che il prezzo complessivo sia uguale al capitale sottoscrivibile.
E’ necessario inoltre che la società deliberi, contestualmente alla emissione delle obbligazioni, un aumento di capitale per un importo pari alle azioni da offrire in conversione.
Si tratta di un aumento solo deliberato, scindibile, con esecuzione differita nel tempo e frazionata, secondo il programma di conversione; la dottrina ritiene che integri una accettazione da parte dell’obbligazionista della proposta irrevocabile di conversione (esercizio del diritto di opzione).
Si ritiene possibile l’acquisto da parte della società di obbligazioni convertibili proprie, ma si ritiene che le stesse possano essere convertite nei limiti consentiti della disciplina dell’art. 2357 ter.
Rapporto di cambio.
La realtà è che quindi il rapporto di cambio è determinato da due fattori: il rapporto di numero (matematico-nominale) obbligazione/azione e il rapporto di valore nominale delle azioni /valore nominale delle obbligazioni.
Sui testi si tiene prevalentemente in considerazione solo il primo fattore; infatti la dottrina ritiene che in caso di aumento gratuito o di riduzione nominale delle azioni (il numero di azioni non muta) il rapporto di cambio non viene modificato. Il rapporto obbligazione-azione non viene modificato ma di certo il valore nominale è stato modificato onde modificando uno (in questo caso il valore nominale dell’azione) dei due fattori reali del rapporto di cambio inevitabilmente si andrà a modificare il rapporto di cambio stesso da un punto di vista non numerico ma effettivo.
Se le operazioni però si realizzano solo con la modifica del valore nominale delle azioni il rapporto sarà sempre lo stesso dal punto di vista matematico; cambierà solo il secondo parametro del valore nominale (automaticamente).
la differenza tra obbligazioni convertibili e obbligazioni con warrant. La differenza è che l’obbligazione convertibile, nel momento in cui si esercita il diritto di conversione, fa venir meno il diritto all’obbligazione (novazione del rapporto), mentre l’obbligazione con warrant ha un diritto di opzione autonomo e a sé stante, che mantiene fermo il diritto dell’obbligazione.
Operazioni societarie e obbligazioni convertibili.
Solo relativamente alle operazioni straordinarie, che modifichino il capitale o la struttura societaria, è dettata una disciplina che contemperi gli interessi degli obbligazionisti, a tutela dei loro interessi, e della società, a compiere l’operazione.
1. aumento a pagamento (o nuovo prestito obbligazionario convertibile).
Gli interessi degli obbligazionisti convertibili può subire un pregiudizio in caso di aumento a pagamento o nuova emissione di obbligazioni convertibili: qualora infatti gli obbligazionisti dovessero decidere di convertire, avrebbero un peso relativo minore nella società a seguito dell’aumento delle azioni (mentre il pericolo di una riduzione del valore reale delle azioni ottenibile con la conversione può essere evitato con il sovrapprezzo per l’aumento).
Pertanto è attribuito agli obbligazionisti convertibili, così come ai soci della società, l’opzione sui titoli di nuova emissione, in base al loro rapporto di cambio.
Questa scelta tuttavia comprime il diritto di opzione degli altri soci e costringe gli obbligazionisti a valutare anticipatamente se diventare soci, almeno per i titoli di nuova emissione. Si ritiene infatti che l’esercizio della suddetta opzione non costringa gli obbligazionisti alla conversione immediata delle proprie obbligazioni.
Si applicherà in toto l’art. 2441 così che sarà possibile l’esclusione dell’opzione nelle ipotesi legislativamente previste.
Nell’ipotesi di esclusione del diritto di opzione per interesse della società (2441 comma 5) si discute se la delibera debba essere approvata anche dalla assemblea degli obbligazionisti, perché comporterebbe una modifica sostanziale delle condizioni di prestito. Si ritiene tuttavia che, per l’esclusione del diritto di opzione non sia necessaria una apposita delibera degli obbligazionisti, dal momento che la disciplina legale, che richiede la sola delibera dei soci, opera indipendentemente dal consenso degli obbligazionisti.
La delibera che escluderebbe il diritto di opzione per i soli obbligazionisti sarebbe impugnabile per nullità ex 2379 perché in contrasto con il 2441 comma 1 e quindi discriminatoria.
Gli obbligazionisti potrebbero inoltre sempre esperire i rimedi contrattuali (del mutuo) quale risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno.
2. aumento gratuito.
Anche l’aumento gratuito può incidere negativamente sulla posizione degli obbligazionisti, in quanto a seguito dell’aumento del capitale gli obbligazionisti che convertono avrebbero un peso relativo minore.
Per tale motivo l’art. 2420 bis comma 5 prevede che il rapporto di cambio sia aumentato in misura dell’aumento.
Tuttavia bisogna distinguere l’ipotesi in cui l’aumento gratuito sia attuato mediante emissione di nuove azioni o con la modificazione del valore nominale delle azioni esistenti.
Solo infatti nella prima ipotesi (emissione di nuove azioni) il rapporto di cambio deve essere modificato così che il titolare di obbligazioni convertibili non si ritrovi ad avere una partecipazione minore di quella che avrebbe avuto se non vi fosse stato l’aumento, mentre nella seconda ipotesi (modifica del valore nominale) il rapporto di cambio rimarrà uguale perché l’obbligazionista convertirà le azioni con il modificato valore nominale; sarà necessario solo individuare le risorse patrimoniali necessarie a coprire il maggior valore nominale delle azioni da convertire.
Sia quindi la modifica del rapporto di cambio che l’aumento del valore nominale rende insufficiente l’originario aumento di capitale sociale deliberato a servizio della conversione, e pertanto sarà necessario apprestare risorse ulteriori che rendano possibile l’integrale conversione delle obbligazioni.
Per ottenere queste ulteriori risorse finanziarie per la conversione, bisogna distinguere:
1- l’ipotesi in cui esista una “riserva da conversione” che può essere creata quando il rapporto di cambio sia sopra la pari (o con sovrapprezzo) ossia il prezzo di conversione sia superiore al valore nominale delle azioni. In questa ipotesi la copertura delle maggiori risorse patrimoniali da destinare a servizio della conversione potrà essere assicurata dall’impiego di suddetta riserva (cd. doppio aumento), che sarà imputata a capitale mediante un secondo aumento gratuito, a beneficio esclusivo degli obbligazionisti, nella misura e proporzione della conversione, così da garantire loro le rispettive azioni.
2- nella ipotesi invece di rapporto di cambio alla pari, ossia quando il prezzo di conversione sia uguale al valore nominale delle azioni, non vi sarà la creazione di nessuna preventiva riserva, e pertanto si potrà procedere alla attribuzione agli azionisti solo di parte dell’aumento gratuito, attribuendo agli obbligazionisti convertibili la restante parte, che andrà a formare la riserva accantonata da conversione (cd. aumento accantonato). Se solo parte degli obbligazionisti deciderà di convertire, la riserva rimarrà in parte inutilizzata e potrà essere liberamente utilizzata dalla società.
3- qualora la riserva da conversione esista ma sia insufficiente, si farà ricorso congiunto alle tecniche del doppio aumento e dell’aumento accantonato.
3. riduzione per perdite.
L’art. 2420 bis comma 5 prevede che in caso di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio deve essere modificato in misura della riduzione così la riduzione del capitale non si traduca in un indebito vantaggio degli obbligazionisti.
Si ricorda inoltre che in caso di perdite, non è possibile la distribuzione degli utili fino a quando il capitale sociale e le riserve non siano uguali alla metà delle obbligazioni emesse(2413 comma2).
Se la riduzione si attua mediante riduzione del valore nominale delle azioni, non sarà necessario adottare nessun provvedimento poiché al momento della conversione gli obbligazionisti otterranno un numero di azioni pari all’originario rapporto di cambio ma con azioni di valore inferiore quelle che avrebbero avuto in mancanza della riduzione, e quindi la loro posizione all’interno della società rimarrà invariata.
Se invece la riduzione viene realizzata attraverso la riduzione delle azioni in circolazione, il rapporto di cambio andrà diminuito in proporzione della perdita per mantenere inalterato il rapporto tra azionisti e obbligazionisti.
Parte della dottrina ha giustificato tale soluzione affermando che già in pendenza del prestito gli obbligazionisti devono partecipare alle perdite subite; è preferibile l’opinione che vede nella soluzione in esame l’unico modo per mantenere percentualmente invariata la posizione all’interno della società, evitando che gli obbligazionisti traggano un indebito vantaggio a danno degli azionisti.
Problemi particolari si hanno nella ipotesi di riduzione a zero e contestuale ricostituzione del capitale.
(1) Una prima tesi sostiene che la riduzione a 0 del capitale comporta l’azzeramento del rapporto di cambio e il conseguente venir meno del rapporto di obbligazione e dello strumentale diritto di opzione; il prestito obbligazionario convertibile si trasformerebbe in prestito obbligazionario semplice.
(2) Secondo una seconda tesi, agli obbligazionisti spetterebbe il diritto di conversione anticipata (applicando analogicamente l’art. 2420 bis comma 4)così da partecipare come azionisti alla ricostituzione del capitale. Questa teoria presta tuttavia il fianco alla critica che in tal modo gli obbligazionisti sarebbero costretti a rinunciare al proprio credito per acquistare la posizione di socio (per partecipare all’aumento); qualora la società non deliberi l’aumento, l’obbligazionista si ritroverebbe a essere socio di società in liquidazione, debitore verso gli obbligazionisti che non abbiano convertito, invece che creditore.
(3) Secondo la tesi preferibile invece anche se il rapporto di conversione viene azzerato, agli obbligazionisti spetterebbe il diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441 sulla ricostituzione del capitale in base al rapporto di cambio che avevano prima della riduzione a 0 del capitale, secondo la disciplina generale dell’aumento a pagamento. Qualora invece non decidessero di sottoscrivere l’aumento, si troverebbero ad essere titolari di semplici obbligazioni, essendosi estinto il diritto alla conversione.
4. riduzione volontaria e modificazione delle norme sugli utili.
L’art. 2420 bis comma 4 stabilisce che la società, qualora voglia procedere ad una riduzione volontaria o alla modificazione delle norme concernenti gli utili, deve dare agli obbligazionisti la possibilità di convertire anticipatamente nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione, con avviso depositato 90 giorni prima dell’ assemblea presso il Registro Imprese. Queste operazioni infatti arrecano sempre pregiudizio agli obbligazionisti.
Si ricorda che gli obbligazionisti, in quanto creditori sociali, potranno opporsi alla riduzione ex 2445 comma 3 e 4.
Si discute se per la riduzione volontaria per perdite, inquadrabile nella riduzione volontaria, debba applicarsi la normativa della riduzione per perdite obbligatoria (modifica del rapporto di cambio) oppure, come sembra più opportuno, quella della riduzione volontaria (conversione anticipata). Deve comunque essere rispettato il limite di cui all’art. 2413 per cui non è possibile la riduzione volontaria qualora il rapporto capitale e riserve \ obbligazioni non rientri nei limiti del 2412.
La riduzione volontaria mediante riduzione del valore nominale delle azioni, fa si che gli obbligazionisti acquistino una partecipazione percentualmente identica (rispetto agli azionisti) a quella originaria, anche se rappresentativa di un capitale minore. (*)
La riduzione mediante annullamento delle azioni, fa si che, in caso di conversione, gli obbligazionisti abbiano una percentuale maggiore del capitale rispetto all’originario rapporto con i soci (è tuttavia allo stato poco seguita la tesi che afferma che in tale ipotesi sarà necessario anche la modifica del rapporto di cambio, perché non prescritta da nessuna norma).
La modificazione dei criteri statutari di ripartizione degli utili possono pregiudicare gli obbligazionisti a causa della modificazione della redditività delle azioni offerte in conversione.
I criteri di ripartizione degli utili sono inoltre modificati indirettamente anche a seguito di delibere di emissioni di azioni privilegiate o di risparmio. Si discute se anche in questa ipotesi agli obbligazionisti spetti il diritto alla conversione anticipata: l’opinione negativa si basa sulla considerazione che gli obbligazionisti sono comunque tutelati dalla opzione ex 2441; altra dottrina afferma invece che la disposizione ex 2420 bis comma 4 debba prevalere sull’art. 2441. Infine altri autori ritengono che le due forme di tutela siano tra loro cumulabili.
Altro problema riguarda a cosa accada agli obbligazionisti che non decidano di avvalersi della conversione anticipata:
1- una prima tesi sostiene che essi perdano il diritto alla conversione, dal momento che la possibilità di convertire anticipatamente non è in aggiunta a quella ordinaria e quindi sostituirebbe la disciplina della conversione. Si afferma dunque la possibilità da parte della società di modificare unilateralmente il prestito obbligazionario.
2- una seconda tesi sostiene che la possibilità della conversione anticipata legittimi solo la società a procedere alla riduzione, ma non elimina il normale termine di conversione, che potrà essere anche successivamente esercitato.
(*) Si discute se in tale ipotesi agli obbligazionisti che eserciteranno la conversione in seguito spetti un valore di azioni (nella ipotesi di riduzione del loro valore nominale) pari all’originario valore stabilito, così che verrebbe modificata l’originaria percentuale di forze del rapporto tra azionisti e obbligazionisti, oppure il pregiudizio subito a seguito della riduzione del valore nominale debba essere compensato in denaro.
Altro problema riguarda a cosa accede qualora, una volta esercitata la conversione anticipata, la società non approvi la delibera di riduzione del capitale. Si ritiene che l’obbligazionista non può, in tale ipotesi, revocare la sua decisione: l’approvazione della delibera non può essere considerata condizione risolutiva (volontaria o legale) della sottoscrizione di azioni.
6. fusione.
Gli obbligazionisti, ai sensi dell’art. 2503 bis, possono fare opposizione alla fusione (come ogni altro creditore ex 2503) salvo che la fusione sia stata approvata dalla assemblea degli obbligazionisti.
L’art. 2503 bis prevede poi che agli obbligazionisti sia offerta la possibilità di conversione anticipata. Gli obbligazionisti che non abbiano fruito della conversione anticipata devono essere offerti “diritti equivalenti” a quelli goduti prima della fusione, salvo che approvino, nella assemblea degli obbligazionisti, la modificazione dei propri diritti ( ex 2415).
E’ discusso se il potere di modifica (e approvazione) dell’assemblea degli obbligazionisti si estenda fino alla soppressione del diritto di conversione: si ritiene infatti che detta possibilità sia preclusa alla assemblea ma, traducendosi in una modificazione strutturale del prestito, sia necessario il consenso unanime e non solo la maggioranza.
Si discute inoltre in cosa consistano i diritti equivalenti ex 2503 bis: parte autorevole della dottrina sostiene che sia necessario garantire il diritto della conversione anche dopo la fusione, assicurando l’equivalenza dei diritti non solo sotto il profilo patrimoniale ma anche sotto quello amministrativo (acquistare una partecipazione nella società fusa che sia pari percentualmente pari a quella fissata all’inizio). Altra dottrina invece (minoritaria) ritiene invece che sia sufficiente garantire un equivalente economico, non essendo più possibile l’esercizio della conversione a seguito della fusione.
Le modalità concrete per assicurare i diritti equivalenti, variano a seconda della fusione (omogenea, ossia anche la società risultante dovrà essere una Spa o Sapa):
1- società emittente incorporante, che non aumenta il capitale: Se la fusione avviene senza che la società incorporante aumenti il proprio capitale (a servizio della fusione)(il patrimonio della incorporata andrà a riserve e ai soci della incorporata saranno attribuite azioni proprie), non è necessario attribuire agli obbligazionisti convertibili la facoltà di conversione anticipata, poiché la fusione non comporta il trasferimento delle obbligazioni ad altra società, né la modifica del capitale.
Una lettura formalistica della norma suggerisce di attribuire comunque sempre agli obbligazionisti la facoltà di convertire anticipatamente, precisando che qualora decidano di convertire in seguito, il rapporto di cambio della conversione rimarrà invariato per le cose dette.
2- società emittente incorporante, che aumenta il capitale sociale (a servizio della fusione): ciò generalmente avviene per attribuire ai soci della incorporata azioni secondo il rapporto di cambio della fusione. La fattispecie che si realizza è analoga ad un aumento di capitale oneroso con conferimento in natura (patrimonio della incorporata): ai soci della incorporante e agli obbligazionisti convertibili non potrà essere riconosciuto nessun diritto di opzione sull’aumento ex 2441 comma 4, perché interamente destinato ai soci della incorporata. Detto aumento di capitale riduce la percentuale di capitale spettante non solo agli obbligazionisti ma anche ai soci della incorporante. Pertanto anche in questa ipotesi si ritiene che non spetti agli obbligazionisti nessuna tutela, perché resta invariato il rapporto con gli azionisti della incorporante. Una lettura formalistica della norma suggerisce di attribuire comunque sempre agli obbligazionisti la facoltà di convertire anticipatamente, precisando che qualora decidano di convertire in seguito, il rapporto di cambio della conversione rimarrà invariato per le cose dette.
3- fusione in senso stretto (creazione nuova società) od emittente incorporata: in queste due ipotesi la società emittente si estingue. Pertanto sarà necessario attribuire agli obbligazionisti il diritto di conversione in azioni della società risultante dalla fusione. Tale società, nell’ipotesi che sia una Spa, dovrà deliberare un aumento di capitale a servizio del prestito obbligazionario ereditato dalla società estinta (si parla di “capitale originario condizionato”), di ammontare pari ad un rapporto di cambio azioni \ obbligazioni che tenga conto sia dell’originario rapporto di cambio tra obbligazioni e azioni della emittente, sia del rapporto di cambio della fusione.
Si ricorda che in caso di fusione in società diversa dalla Spa, a seguito della fusione non sarà più possibile parlare né di obbligazioni convertibili né di obbligazioni semplici (per questo parte della dottrina ritiene che detta operazione non possa essere fatta): oltre la anticipata conversione, le obbligazioni quindi a seguito della fusione dovranno sparire o con il rimborso del debito anticipato o con la trasformazione (novazione) del prestito obbligazionario in un normale finanziamento a titolo di mutuo. In tale ipotesi si discute se sia sufficiente una decisione a maggioranza della assemblea degli obbligazionisti o una decisione alla unanimità.
7. scissione.
Anche nella ipotesi di scissione, per il rinvio contenuto nell’art. 2506 ter, si applicherà la disciplina della fusione, e quindi (oltre al diritto alla opposizione) la società dovrà attribuire la facoltà di convertire anticipatamente e garantire diritti equivalenti.
1- scissione totale in senso stretto: la società scissa-emittente si estingue e il debito obbligazionario viene attribuito alle società beneficiarie, secondo le modalità indicate nel progetto di scissione. Le società beneficiarie dovranno deliberare un aumento a servizio della conversione, stabilendo un rapporto di conversione che tenga presente l’originario rapporto di cambio e il rapporto di scissione.
2- scissione totale per incorporazione: se la società emittente è la scissa-incorporata, la situazione sarà analoga alla ipotesi precedente, dove la incorporante-beneficiaria dovrà deliberare un aumento a servizio delle obbligazioni.
Se la società emittente è una delle beneficiarie, in tale ipotesi, come per la fusione di società emittente incorporante, non dovrà essere adottato nessun provvedimento (se non, formalisticamente, la facoltà di conversione anticipata).
3- scissione parziale in senso stretto: il prestito obbligazionario potrà rimanere in capo alla scissa o essere attribuito alla beneficiaria.
Se resta in capo alla scissa, questa dovrà adottare i provvedimenti previsti per l’ipotesi di riduzione volontaria (attribuzione della facoltà anticipata di conversione).
Se il prestito viene attribuito alla beneficiaria, questa dovrà deliberare un aumento di capitale a servizio.
4- scissione parziale per incorporazione: se il prestito è stato emesso dalla società che si scinde, anche qui bisogna distinguere l’ipotesi che il prestito resti in capo della scissa o si trasferisca alla beneficiaria. Se il prestito è stato emesso dalla beneficiaria, non dovrà essere adottato alcun provvedimento.
8. trasformazione.
La pendenza di un prestito obbligazionario costituisce un ostacolo per la società emittente di trasformarsi in un tipo diverso dalla Spa o sapa, per il quale è esclusa la possibilità di emettere obbligazioni.
Prima pertanto di procedere alla trasformazione la società dovrà adottare opportuni provvedimenti volti a eliminare le suddette obbligazioni: rimborso anticipato delle obbligazioni o novazione del prestito in mutuo ordinario.
Dottrina autorevole ritiene che mentre per l’operazione di rimborso anticipato sia sufficiente la delibera a maggioranza dell’assemblea degli obbligazionisti, poiché trattasi di una mera modifica della data di scadenza del prestito, che è una condizione e non elemento strutturale del prestito stesso (c’è tuttavia la tesi della unanimità), la novazione in mutuo ordinario inciderebbe sulla struttura del prestito e quindi è necessaria l’unanimità.
Nella ipotesi di obbligazioni convertibili, a detti provvedimenti, dovrà essere aggiunta la possibilità di convertire anticipatamente in analogia a quanto previsto in tema di riduzione volontaria e fusione. Si ritiene che la decisione di trasformazione debba essere sempre approvata dalla assemblea degli obbligazionisti, importando una modificazione delle condizioni originarie del prestito.
Agli obbligazionisti che non decidano di convertire sarà assicurato il rimborso anticipato o la novazione in mutuo.
9. distribuzione delle riserve.
La società non può distribuire riserve se il limite del 2412 non è rispettato (2413).
Si ritiene che la distribuzione delle riserve importi una modifica delle disposizioni che incidono sulla distribuzione degli utili, pertanto la delibera di approvazione dovrà attribuire la facoltà di convertire anticipatamente ex 2420 bis.
10. mutamento oggetto sociale, del regime delle azioni e trasferimento sede all’estero.
Si ritiene che il mutamento dell’oggetto sociale non pregiudichi i diritti degli obbligazionisti.
Si ritiene invece che la modifica invece del regime di circolazione e disciplina delle azioni, richieda la preventiva approvazione della assemblea degli obbligazionisti convertibili, rientrando nella modifica delle condizioni originarie di prestito.
Quanto al trasferimento della sede all’estero, il problema sorge allorquando nel Paese di destinazione non preveda l’emissione di obbligazioni. Anche in questa ipotesi pertanto si dovrebbe attribuire agli obbligazionisti la facoltà di convertire anticipatamente; altra parte della dottrina ritiene invece che il trasferimento sia possibile anche in assenza della anticipata facoltà di convertire, salvo configurare a carico della società un inadempimento contrattuale derivante dalla modifica delle condizioni di prestito.
11. scioglimento e fallimento
Quanto alla sorte del diritto di conversione in caso di scioglimento anticipato, si ritiene che, qualora la causa di scioglimento intervenga prima della scadenza del termine di conversione, si determina l’estinzione del diritto di conversione. Altra dottrina sostiene invece la tesi che debba essere offerta la facoltà di convertire anticipatamente: lo scioglimento, mutando lo scopo della società da lucrativo in liquidatorio, inciderebbe sui diritti patrimoniali e determinerebbe una modifica delle disposizioni concernenti gli utili ex 2420 bis.
Dottrina autorevole afferma invece che lo scioglimento anticipato non incide sul diritto alla conversione, che potrà essere esercitato anche successivamente, dal momento che era gia stato deliberato, con l’emissione, un aumento di capitale a servizio.
In caso di fallimento, troveranno applicazione, come per le obbligazioni semplici, gli art. 55 e 58 l.f. per cui il debito obbligazionario, come tutti i debiti pecuniari, si considera scaduto alla data di dichiarazione del fallimento (55). Circa il valore delle obbligazioni (58) queste si valuteranno secondo il loro valore nominale, e pertanto la dichiarazione di fallimento non priva gli obbligazionisti del diritto a conseguire il premio di rimborso.
Qualora sia previsto che alcune (e non tutte) obbligazioni debbano essere rimborsate ad un prezzo superiore al loro valore nominale (di natura aleatoria), in caso di rimborso anticipato per fallimento è necessario calcolare il minor valore al momento del fallimento, pari al 5% degli interessi del complessivo capitale da rimborsare.
Quanto alle obbligazioni convertibili, parte della dottrina ritiene che, oltre al valore nominale delle obbligazioni, debba essere tenuto conto anche del valore del diritto di conversione. Parte autorevole della dottrina ritiene invece che il diritto alla conversione non rilevi, poiché in caso di fallimento i vincoli di carattere unilaterale (il diritto di conversione ha infatti natura di opzione), non sono dotati di un proprio valore patrimoniale, con la conseguenza che non si applicherà l’art.59 l.f. (concorso dei debiti non pecuniari).
12. Emissione prestito obbligazionario indiretto.
Si ritiene pacificamente ammissibile il prestito obbligazionario indiretto, ossia una Soc. A emette obbligazioni convertibili in azioni della Soc. B ( ex 2420 bis e 2441). Tuttavia vi sono molteplici problemi applicativi:
1) E’ obbligatoria l’opzione e a chi spetta? Non essendo questa una ipotesi normativamente prevista, l’opzione in questa fattispecie sarà solo volontaria e non legale, ma normalmente spetterà ai soci della Soc. B in quanto è questa società che deve aumentare il capitale sociale e solo così potrà rimanere inalterato il rapporto delle azioni. Da sottolineare come la Soc. B aumenta il capitale ma sarà derogata l’opzione legale a favore dei soci della B per l’interesse della società in detta operazione.
In ogni caso ci deve essere un ACCORDO negoziale sottostante tra le due società che può essere un contratto o un controllo oppure le due società appartengono al medesimo gruppo.
2) Chi paga l’aumento del capitale della Soc. B? Essendo obbligazioni convertibili saranno detti obbligazionisti che, convertendo, libereranno l’aumento del capitale. Più precisamente gli obbligazionisti pagheranno la sottoscrizione delle obbligazioni alla Soc. A e questa consegnerà dette somme alla Soc. B, per coprire l’aumento a servizio, secondo l’accordo sottostante.