Identità delle Azioni, Connessione e Concorso di azioni

Tratto dal Mandrioli 2007, volume I, Cap. VI

 

1.      Individuazione dell’oggetto del processo: il giudicato ed i suoi limiti soggettivi e oggettivi, la litispendenza, il divieto di nuove domande in appello

L’oggetto sostanziale del processo si determina principalmente attraverso l’esercizio dell’azione e che pertanto, se si vuole individuare gli esatti confini di questo oggetto – cd. causa - si deve risalire all’azione.

L’azione è sorretta da diverse regole ma, ai fini della precisa identificazione della stessa, bisogna preliminarmente premettere brevi cenni al principio del “ne bis in idem” ed a quello del doppio grado di giurisdizione.

Il principio del ne bis in idem si estrinseca nei concetti di giudicato processuale e sostanziale, per cui il giudicato processuale si ricollega all’esaurimento dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 324 cpc ossia il divieto per un giudice di pronunciarsi ulteriormente sulla stessa materia, mentre il giudicato sostanziale è previsto dall’art. 2909 c.c. per cui l’accertamento, così passato in giudicato, “fa stato” tra le parti.

Circa la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di cosa giudicata, si sono susseguiti nel tempo due orientamenti diversi della giurisprudenza: ad un primo orientamento “storico” per cui si escludeva la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, ossia formatosi in un diverso processo, a differenza di quello interno, si è fatta sempre più strada la tesi della rilevabilità d’ufficio, senza preclusioni, del giudicato esterno (Cass. 11018/99); tuttavia detta sentenza aveva tralasciato di precisare se la rilevabilità d’ufficio implicasse o meno anche il superamento delle preclusioni per le allegazioni e la prova della pronuncia e, sul tema, è intervenuta Cass. SU 13916/06 secondo cui il giudicato esterno è rilevabile d’ufficio anche quando si sia formato successivamente alla sentenza impugnata; tuttavia tale circostanza deve risultare dai documenti ritualmente prodotti negli atti.

Inoltre quando si introduce un processo quando la prima precedente azione ancora non è conclusa, ed è quindi pendente, è obbligo del secondo giudice – sempre in applicazione del principio suddetto – astenersi dal pronunciarsi e dare atto della litispendenza, ai sensi dell’art. 39 e 273 cpc.

Infine è fatto divieto alle parti di proporre nel corso del giudizio, od in appello, domande nuove: anche qui al fine di stabilire se una domanda è “nuova”, bisognerà far ricorso ai criteri fissati per l’identificazione delle azioni.

 

2.      I limiti soggettivi ed oggettivi del giudicato

Perché due azioni si possano dire identiche, occorre che siano identici tutti i loro elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi. Quand’anche uno solo di essi non coincida, non si potrà avere identità di azioni.

Quanto agli elementi soggettivi, questi sono costituiti dai soggetti, attivo e passivo dell’azione. Più precisamente sarà soggetto attivo dell’azione, ossia colui che propone la domanda, il soggetto attivo del diritto sostanziale affermato, mentre sarà soggetto passivi, ossia colui nei cui confronti la domanda è proposta, il soggetto passivo del rapporto sostanziale sottostante.

Solo eccezionalmente la legge riconosce rilevanza a diritti altrui in nome altrui (rappresentanza) od in nome proprio (sostituzione processuale).

E’ infatti nei confronti di questi soggetti che si determina il giudicato.

Quanto pertanto ai limiti soggettivi del giudicato stesso, questo ex 2909 c.c. fa stato tra le parti, aventi causa ed eredi.

Il tema del limite soggettivo del giudicato è stato a lungo al centro di una vivace discussione da parte della migliore dottrina processualistica: il Chiovenda fu il primo che spostò l’angolo di visuale dagli effetti tra le parti al pregiudizio nei confronti dei terzi e di aver distinto tra terzi titolari di diritti compatibili od incompatibili con il decisum; questa impostazione venne poi sviluppata da Carnelutti e Libman, in relazione alla contrapposizione tra efficacia (verso tutti) ed autorità (solo verso le parti) del giudicato. Si evidenziò come il fenomeno dell’estensione del giudicato sia dovuto alla portata del rapporto sostanziale, con la possibilità in tal modo di influire anche ev. su terzi. In tale prospettiva il tema dei limiti soggettivi finisce con il ridursi all’ambito del rapporto sostanziale. Infine si precisò che quanto al 2909 c.c. deve intendersi come “norma che esclude per i terzi la retroattività della decisione intorno all’altrui rapporto, pregiudiziale al loro, così che i limiti oggettivi del giudicato possono trovare una giustificazione logica in quanto limiti della retroattività”.

Pertanto la sentenza vale sì rispetto a tutti ma solo come sentenza tra le parti, cos’ che non possa pregiudicare altri che furono estranei alla lite (in questo senso fa stato solo tra le parti).

Con la parola “parti” si intende non solo i soggetti del processo (parti processuali) ma anche i soggetti del rapporto sostanziale affermato (parti processuali), inclusi i soggetti sostituiti.

Tuttavia esistono numerosi esempi di estensione degli effetti del giudicato di soggetti che non furono parti né sostanziali né processuali – ossia gli eredi e gli aventi causa (soggetto che acquista il diritto a titolo derivativo).

Il terzo può tuttavia impedire il pregiudizio al suo diritto sostenendo che questo non può essere pregiudicato dalla sentenza: e ciò sia con un’azione di accertamento, sia con l’opposizione di terzo cd. semplice (404 cpc). infine al terzo si dà anche la possibilità di tutelare i propri diritti in giudizio sia a mezzo di un intervento volontario, sia quando è costretto a partecipare su iniziativa delle altre parti o del giudice.

 

3.      Gli elementi oggettivi: il petitum (oggetto) e la causa petendi (titolo)

L’oggetto, petitum, è ciò che si chiede con la domanda.

Si distingue il petitum immediato, ossia la richiesta al giudice di un provvedimento, ed il petitum in via mediata, ossia la richiesta alla controparte di quel determinato bene della vita che si chiede con l’azione (che può essere sia do dare che di fare od omissiva). Il petitum mediato ed immediato devono coincidere; nel caso contrario si sarà di fronte ad una pluralità di azioni.

La causa petendi è invece la “ragione del domandare” ossia il riferimento al diritto sostanziale in base al quale l’azione è proposta, ed è chiesto il petitum.

Il diritto sostanziale affermato assolve pertanto ad una precisa funzione individuatrice dell’azione e petitum e causa petendi sono le due angolazioni di questo, che è l’oggetto del processo.

Si parla inoltre di “sostanziazione” e “individuazione” della causa petendi, quando ci si vuole riferire alla circostanza che la causa petendi sia individuata, o meno, nella allegazione dei fatti costitutivi del diritto. Più precisamente si parla di sostanziazione quando si impernia la portata individuatrice nei fatti costitutivi e limita a quei atti la portata del giudicato; si parla invece di individuazione quando ci si riferisca anche al rapporto sostanziale. Oggi queste vengono considerate “due facce della stessa medaglia”.

Affinchè si possa parlare poi di due azioni diverse, non è sufficiente che mutino i cd. elementi secondari, ossia l’allegazione di aspetti diversi che non incidono tuttavia sul “nucleo dei fatti”, ma è necessario un mutamento del fatto principale, ossia l’episodio storicamente individuato che caratterizza la causa.

Il fatto costitutivo del diritto affermato non è tuttavia sempre elemento sufficiente per individuare la causa petendi: lo è quando la tutela prescinde dalla violazione in quanto l’interesse ad agire è in re ipsa. In tutti gli altri casi l’individuazione del fatto costitutivo dovrà essere integrato con l’individuazione del fatto lesivo poiché è quest’ultimo elemento che normalmente concreta l’interesse ad agire, che costituisce un elemento della causa petendi (si parla al riguardo di causa petendi passiva).

Pertanto ciò che individua la causa petendi è il fatto costitutivo del diritto unitamente, di solito, al fatto lesivo dello stesso.

Tuttavia non sempre il venir in essere di un fatto è costitutivo di un diritto e di una causa petendi, in quanto, talvolta, più fatti costituiscono un solo diritto ed allora non sempre più fatti implicano diversità di causa petendi.

Si è affermato che il diritto è l’oggetto minimo del processo e, da ciò, se ne è dedotto che colui che propone la domanda non potrebbe limitarla ad una frazione del diritto. Non sembra tuttavia che la frazionabilità del diritto possa essere in radice esclusa, almeno nei casi in cui sussisterebbe un interesse al frazionamento; in mancanza , detto frazionamento sarebbe contrario al principio di buona fede. Sul tema è intervenuta Cass. SU 198/00 la quale si è pronunciata a favore della frazionabilità del diritto purchè il creditore si riservi di agire per il residuo e dimostri di avere interesse alla pronuncia frazionata, come per esempio per il minor costo.

Relativamente alla circostanza che un fatto è costitutivo di un diritto, ciò vale in relazione ai diritti relativi (ed in particolare per il diritto di obbligazione ad una prestazione generica e per i diritti di garanzia) dove ciascun diritto nasce con il proprio rispettivo fatto costitutivo, che consiste nella causa petendi.

Nel campo dei diritti relativi (diritti di credito ad una prestazione generica e diritti reali di garanzia) quindi, poiché un diritto della medesima natura giuridica può venire in essere più di una volta tra gli stessi soggetti (es. alla restituzione), ad ogni fatto costitutivo (es. mutuo) corrisponde un diverso diritto e, quindi, una diversa causa petendi ed azione.

Pertanto la portata di ogni azione è definita e polarizzata nella causa petendi (che generalmente implica anche il petitum) – cd. funzione polarizzatrice della causa petendi basata sull’identità del fatto.

Rispetto invece ai diritti assoluti (D. reali, status e diritti di credito ad una prestazione specifica), in quanto consistono in un rapporto immediato con la  res, sono sempre identici, quale che sia il fatto che ne ha costituito la genesi.

Si è infatti osservato che gli unici fatti costitutivi giuridicamente rilevanti per i diritti reali sono i titoli di acquisto a titolo originario, mentre i titoli di acquisto derivativi sarebbero fatti semplici o secondari, il cui mutamento non costituirebbe mutamento della causa petendi.

Pertanto qui la portata individuatrice dell’azione è polarizzata nel petitum che, almeno tendenzialmente, implica anche la causa petendi e, si avrebbe diversità di causa petendi, solo ove il diritto venisse acquistato in base a diversi titoli di acquisti originari (es. usucapione ed accessione).

Altro Autore (C.Canova) distingue al riguardo tra domande autodeterminate, ossia le domande che esauriscono l’individuazione del loro contenuto nella tutela invocata, e domande etero determinate, la cui individuazione viene determinata dall’accadimento storico determinatore.

Ciò rileva al fine di determinare quando si abbia identità di azione e, conseguentemente, una volta che si sia formato il giudicato, non si possa proporre una nuova azione adducendo una diversità del fatto costitutivo (d. assoluti) o dell’oggetto (d. relativi per prestazione generica); oppure in relazione al divieto di modificazione della domanda od al divieto di proporre domande nuove.

Quanto infine ai diritti potestativi, che fondano le azioni costitutive, qui la causa petendi ha una forza polarizzatrice intermedia, ossia rileva solo se investe una serie di fatti genetici che sono considerati dalla legge come costitutivi del diritto. Tipico è l’esempio dell’annullamento del contratto che può essere chiesto solo per errore, dolo o violenza, individuando così tre diversi fatti costituitivi che danno luogo a tre diverse azioni.

Pertanto se, a seguito del passaggio in giudicato di un’azione per annullamento per errore, si ripropone di nuovo un’azione sulla base di un diverso fatto costitutivo dell’errore, si avrà identità di azioni e quindi improcedibilità della nuova azione per il noto principio del bis in idem; se invece il fatto costitutivo dedotto nella nuova azione riguarda invece la violenza od il dolo, si avranno due azioni diverse.

Tuttavia parte della dottrina ritiene invece che l’unicità dell’effetto giuridico – annullamento – implica l’unicità del diritto, con la conseguente unicità dell’azione, così che si può definire “identica” un’azione fondata sull’annullamento per errore da quella sull’annullamento per dolo o violenza.

Tuttavia la Giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere diverse queste due azioni, in aderenza alla prima tesi esposta.

Le considerazioni sopra fatte per l’annullamento sono esemplificative della posizione della dottrina e giurisprudenza sulle azioni basate su diritti potestativi e quindi valide anche in tema di separazione personale, nullità del contratto od altre impugnazioni negoziali.

Riassumendo quindi,

le azioni relativi a diritti relativi per prestazioni generiche sono individuate dalla causa petendi – rilevano i fatti costitutivi;

le azioni relative a diritti reali / status sono individuate dal petitum (non rilevano i fatti costitutivi);

le azioni relative a diritti potestativi sono individuate dalla causa petendi / fatti costitutivi individuati tali dalla legge ( es. errore – dolo – violenza per l’annullamento).

Una precisazione tuttavia deve farsi relativamente all’azione di nullità in quanto si ritiene che tutti i diversi fatti che fondano l’azione di nullità concorrono a fondare un’unica azione dichiarativa; inoltre nei giudizi ch presuppongono la validità del negozio, la nullità va rilevata d’ufficio e accertata con forza di giudicato; ma non nei giudizi sulla validità del contratto, il cui oggetto è limitato alle ragioni di invalidità dedotte dall’interessato.

La giurisprudenza ha rilevato inoltre che il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità , sussiste se lì’attore agisce per ottenere l’adempimento del contratto e non sussisterebbe invece quando agisce per ottenerne l’annullamento, la risoluzione o la rescissione.

Di diverso avviso è invece Cass. 6170/05 che ha precisato che la pregiudiziale di nullità va pronunciata d’ufficio sempre, con la sola differenza che in assenza di specifica domanda la pronuncia d’ufficio avviene incidenter tantum e non ha forza di giudicato, rilevando inoltre come “se il contratto è nullo, ogni domanda sulla sua eliminazione (o sulla simulazione, impugnativa od altro rimedio su base contrattuale) è privo di base giuridica e quindi infondata”.

Criteri adottati dalla Giurisprudenza quanto all’ambito oggettivo del giudicato:

- “Il giudicato copre il dedotto ed il deducibile”: il giudicato copre l’azione quale è stata concretamente esercitata, sul fondamento dei fatti costitutivi allegati e di tutti quei fatti che debbano intendersi implicitamente inclusi nella medesima causa petendi.

- “Si ha mutamento della domanda quando muta il nucleo dei fatti che sono causalmente collegati con l’oggetto della domanda stessa”: è quindi lasciato un margine di valutazione discrezionale circa il rilievo principale o secondario dei fatti costitutivi; nel valutare la novità delle allegazioni occorre tener conto sia dell’economicità dei giudizi, sia dell’effettivo grado di lesione degli interessi della controparte riguardo alle esigenze del contraddittorio, esaminando se vi sia “un tema di indagine nuovo tale da disorientare la difesa dell’altra parte”.

Anche la motivazione può rimanere coperta dal giudicato quando costituisce il “presupposto logico e necessario della decisione”.

Si contrapporrebbero così le pregiudiziali “in senso logico”, sulle quali scenderebbe sempre il giudicato, da quelle “in senso tecnico”, disciplinate dall’art. 34. Dottrina e Giurisprudenza sul tema è fortemente divisa, oscillando dalla posizione di chi afferma che tali questioni non possono essere coperte da giudicato, in quanto caratterizzate da un petitum diverso, da chi invece, con la sola esclusione delle pronunce incidenter tantum disciplinate dall’art. 34, afferma che quando siano dedotti in giudizio singoli aspetti di un rapporto fondamentale, la stretta interdipendenza impone un’armonizzazione tra giudicati che può essere ottenuta solo estendendo l’efficacia della sentenza all’accertamento del rapporto.

 

4.      Connessione e cumulo. Litisconsorzio ed intervento.

Quando vi è comunanza parziale di elementi tra due o più azioni, bisogna allora considerare l’eventuale opportunità che le due o più cause siano esaminate e trattate insieme – cd. connessione, che consiste, oltre ch nell’eventuale cumulo delle azioni, nella possibilità di una eventuale deroga della competenza.

La connessione può dipendere da:

-          Comunanza di entrambi gli elementi soggettivi;

-          Comunanza di almeno uno degli elementi oggettivi.

Si ha connessione soggettiva nella ipotesi di più cause proposte dal medesimo soggetto contro lo stesso soggetto. In tal caso si verificherebbe un cumulo oggettivo conseguente a connessione soggettiva e che consisterebbe nella proposizione di più azioni diverse dalla stessa parte contro la stessa parte, fenomeno previsto dall’art. 104 cpc; tuttavia in questa ipotesi non è possibile derogare alle norme sulla competenza.

La connessione oggettiva può dar luogo al cumulo soggettivo, con la possibilità quindi per più soggetti diversi di agire nel medesimo processo.

La possibilità di più soggetti di partecipare ed agire in un medesimo giudizio ha il nome di litisconsorzio; pertanto nella ipotesi di connessione oggettiva si avrà anche una ipotesi di litisconsorzio facoltativo, di cui all’art. 103 cpc.

Quando invece vi è la necessità di risolvere “identiche questioni” ma non vi è comunanza di petitum (oggetto) o causa petendi (titolo), si ha la cd. connessione impropria, al fine di evitare giudicati contraddittori e per economicità processuale.

La connessione oggettiva è disciplinata non solo all’art. 103, ma anche in altre e diverse norme, che disciplinano la cd. riconvenzionale, accessorietà, pregiudizialità e garanzia.

Detto cumulo soggettivo, che si sostanzia nel litisconsorzio facoltativo, può avvenire non solo all’inizio del giudizio (ex 103) ma anche a processo già in corso, attraverso l’intervento (105 cpc), che altro non è che un modo di instaurazione successivo del litisconsorzio, o attraverso la riunione ad opera del giudice (40 cpc).

 

5.      Il concorso di azioni; cumulo alternativo e successivo

E’ possibile che l’esercizio di un’azione, che abbia caratteri parzialmente comuni con altra azione proposta, produca il risultato che, con la decisione di quest’ultima si ottenga anche i risultato dell’altra, rendendo quindi inutile il proseguimento della stessa. Tale fenomeno prende il nome di concorso di azioni.

Si può avere concorso di azioni per connessione di petitum e di causa petendi, quando ad es. lo stesso diritto potestativo è attribuito a più soggetti, oppure una connessione soggettiva e parzialmente oggettiva (identità dei soggetti e del petitum o della causa petendi).

Nel caso che due o più azioni concorrenti vengano proposte nel medesimo processo, si ha il cd. cumulo alternativo; quando invece l’accoglimento di una è condizione per l’accoglimento dell’altra, si ha il cumulo condizionale o successivo. In caso di rigetto della domanda principale e accoglimento di quella subordinata, si verifica una soccombenza di entrambe le parti, che sono quindi entrambe legittimate all’appello.

Il convenuto può inoltre trasformare la domanda condizionata in incondizionata, così da evitare una sua riproposizione in caso di rigetto di quella principale (e relativa dichiarazione di assorbimento da parte del giudice).

 

(Riassunto tratto dal Mandrioli) 

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