La disciplina della Prelazione Urbana.
1. I 3 tipi di prelazione urbana e la ratio legis
2. Rapporti tra i vari tipi di prelazione
3. Conseguenze di un atto stipulato che non rispetti la prelazione urbana
A] La prelazione degli immobili commerciali
4. Natura della denunciatio
5. I beni oggetto della prelazione
6. Vendita in blocco vendita cumulativa
7. Tipologie negoziali a cui la prelazione non è applicabile
8. La rinuncia alla prelazione
9. Il presupposto della locazione
10. Il Retratto
B] La prelazione degli immobili abitativi
11. Ambito di applicazione
12. Immobili esclusi
13. La disdetta (cenni alla disciplina della locazione urbana)
Con l’espressione “prelazione urbana” si intende identificare la prelazione collegata
al rapporto di locazione avente per oggetto una costruzione urbana, prevista:
1) dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392;
2) da un altro lato dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431;
3) dall’art. 3 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con legge 23 novembre 2001, n. 410 sulle dismissioni del patrimonio pubblico.
La prima ipotesi viene solitamente qualificata come prelazione commerciale, la
seconda come prelazione abitativa, e la terza, finora priva di qualificazione usualmente
utilizzata, può essere qualificata come prelazione del patrimonio pubblico.
Connotato essenziale di ognuna di queste tipologie di prelazione urbana è certamente
quella di corrispondere in pieno alla struttura caratteristica del diritto di
prelazione in generale: attribuzione ad un determinato soggetto della preferenza, a parità di
condizioni, nella cessione di un particolare bene.
In tutti e tre i casi prospettati caratteristica essenziale è l’esistenza, nel bene
negoziato, di un contratto di locazione in atto: muta soltanto la tipologia del bene
locato che si intende alienare e muta, di conseguenza, la disciplina che concerne
la relativa prelazione.
Se dovesse cogliersi una differenziazione tra queste diverse ipotesi di prelazione urbana, la si potrebbe individuare nella ragione giustificativa che caratterizza ognuna di esse:
a) nella prelazione di locale commerciale si vuole favorire la tutela
dell’avviamento commerciale, come clientela, ed agevolare nel contempo il
modo d'essere di una determinata zona attraverso il mantenimento degli esistenti
punti di vendita;
b) Nella prelazione abitativa il fine della norma è certamente quello di garantire
al conduttore, con lo strumento dell’acquisto dell’appartamento, di continuare
ad abitarlo. Quindi lo scopo di questa prelazione è la continuità dell’utilizzazione dell’appartamento da parte del conduttore;
c) Nella prelazione per la dismissione del patrimonio pubblico la ragione giustificativa
appare incerta, soprattutto per la disciplina che caratterizza questa materia. in essa giocano effettivamente due interessi contrapposti:
da una parte l’esigenza di una cessione rapida di questi beni, allo scopo di rimpinguare il bilancio
pubblico; da un’altra parte è posto un freno a questa dismissione, dall’esistenza in prima battuta dell’opzione e, solo in seconda battuta , della prelazione che opera peraltro soltanto a determinate condizioni.
Poiché la prelazione urbana e la prelazione agraria rispondono a finalità diverse,
essendo la prima posta a tutela dell'avviamento commerciale mentre la seconda
persegue la finalità di unificare nella stessa persona la titolarità dell'impresa agraria
e della proprietà del fondo, poiché la prelazione urbana trova una propria disciplina nell'art. 38 della legge n. 392 del 1978, la quale individua nella stretta coincidenza tra bene locato e bene venduto un presupposto essenziale per l'esercizio del relativo diritto da parte del conduttore,
deve escludersi la possibilità di applicare, in via analogica, alla prelazione urbana la disciplina propria della prelazione agraria, posto che il ricorso all'analogia legis presuppone che la
fattispecie sottoposta all'esame del giudice non sia prevista e disciplinata da alcuna norma.
Non è possibile inoltre un conflitto in concreto tra questi due tipi di prelazione dal momento che una spetta per i fondi agricoli e l’altra per gli immobili commerciali o abitativi.
Nei confronti della prelazione volontaria si è chiarito che il patto di prelazione (cioè la prelazione convenzionale che ha la sua fonte in un patto fra le parti) non prevale sulla prelazione legale di cui all'art. 38 legge n. 392 del 1978, ma è destinato ad avere effetto a condizione che non sussista o che non venga esercitata la prelazione legale stessa, in una situazione di compatibilità necessariamente subordinata e residuale. Si ricorda inoltre che mentre la prelazione volontaria ha effetti meramente obbligatori, obbligando la parte che abbia violato il patto solo al risarcimento del danno, le prelazioni legali (agraria, dei beni storico-artistici ed urbana) hanno efficacia reale, attribuendo al soggetto passivo un vero e proprio diritto di riscatto opponibile ai terzi acquirenti.
Per effetto della disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978, il diritto di prelazione spettante al conduttore non trova applicazione nella ipotesi previste dall'art. 732 cod. civ. e quindi anche nel caso in cui il coerede alieni a persona estranea alla comunione ereditaria la sua quota o parte di essa, prevalendo il diritto di prelazione attribuito, dalla citata disposizione del codice civile, ai coeredi. L’art. 732 ha inoltre carattere assoluto, senza trovare deroga per il caso di mancato esercizio o di estinzione del diritto del coerede, atteso che l'alienazione di una quota, o frazione di quota ereditaria importa il trasferimento della situazione giuridica della alienante nella comunione creatasi per effetto della successione.
L’atto stipulato è valido ma diviene inefficace se il conduttore esercita il diritto di riscatto a lui spettante.
In tal caso quindi il terzo compratore avrà diritto alla garanzia per evizione (restituzione del prezzo e risarcimento del danno) ed il notaio risponderà per colpa professionale.
A] La prelazione di immobili commerciali.
4. Natura della denuciatio.
Secondo autorevole dottrina, la denuntiatio consiste in una proposta contrattuale, e pertanto sarebbe revocabile fino al momento in cui il beneficiario della prelazione non sia stato portato della sua conoscenza; opererebbe pertanto il generale meccanismo della proposta e dell’accettazione, ai sensi dell’art. 1326 c.c..
Secondo invece numerose pronuncie della giurisprudenza, il meccanismo della prelazione in esame sarebbe disancorato dalla volontà contrattuale e deriverebbe esclusivamente da un obbligo di legge, e pertanto instaurato il procedimento, questo non potrebbe essere più fermato da ripensamenti delle parti.
L’indirizzo consolidato della Suprema Corte è nel senso di non attribuire alla denuntiatio natura di proposta e di accettazione ma riveste carattere di atto formale di interpello vincolato nella
forma e nel contenuto, così che la corrispondente dichiarazione del conduttore di
esercizio della prelazione non costituisce l'accettazione di una precedente proposta,
e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile, determinando la nascita dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del negozio di alienazione con contestuale pagamento del prezzo.
Pertanto:
a) la denuntiatio non è proposta contrattuale e neppure mera informativa di generici
intenti ad avviare trattative tra le parti;
b) essa costituisce atto dovuto di interpello ex lege, vincolato nella forma e nel contenuto,
finalizzato all’esercizio del diritto di prelazione spettante al conduttore;
c) la dichiarazione di esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto non
costituisce accettazione negoziale e non comporta comunque l’immediato acquisto
della proprietà dell’immobile, ma soltanto il vincolo legale per entrambe le parti di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del previsto contratto.
La prelazione opera anche nell’ipotesi che la conduzione del locale sia esercitata da un sublocatore.
5. I beni oggetto della prelazione.
I beni che rientrano nella prelazione urbana commerciale sono, per il combinato
disposto degli artt. 27, 35, 38 e 41 della legge n. 392 del 1978, i beni destinati
ad attività industriale, commerciale, artigianale, turistica, a patto che si tratti di
immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che comportino contatto diretto con
il pubblico degli utenti e dei consumatori ed esclusi comunque gli immobili destinati ad attività professionale.
La prelazione in discorso mira a favorire il mantenimento dell’avviamento, ma ciò presuppone che avviamento vi sia e che pertanto si tratti di attività economica suscettibile di dar luogo
all’avviamento, situazione che stride in modo strutturale con l’attività di libero professionista,
ove invece prevale il rapporto fiduciario.
Qualora peraltro l’immobile urbano locato solo in parte sia adibito ad attività
avente le caratteristiche richieste per l'applicabilità degli artt. 38 e 39 della legge
392/78, la prelazione spetta soltanto se detto uso sia effettivamente prevalente in
relazione all'intero immobile locato. Il criterio della prevalenza dell'uso per stabilire
il regime giuridico della locazione di un immobile, ai fini della prelazione e del
riscatto, è applicabile se con un unico contratto è pattuita la locazione di un unico
immobile, adibito ad uso promiscuo. Se invece parti di un unico immobile sono
locate con separati contratti, l'uso che determina la disciplina giuridica di ciascuna di
esse e' quello stabilito dal contratto.
La prelazione spetta:
per quelle unità immobiliari che, pur diverse dall'immobile locato, siano con questo in rapporto di pertinenzialità; pertanto non ne è necessaria l'indicazione nella "denuntiatio" fatta dal locatore;
- anche alle aree nude, allorché su di esse si svolga un'attività ricompresa tra quelle di cui all'art. 27 della legge;
- anche per l’attività bancaria e per quella di intermediazione nel credito, che rientrano fra quelle commerciali e che sono di per sé finalizzate a fornire servizi al pubblico.
L’opinione della Cassazione è nel senso che il rapporto di locazione deve concernere attività diretta con il pubblico, e come tale legittimamente autorizzata, e deve tenersi conto dell’attività effettivamente esercitata nel momento in cui sorge il problema della prelazione e, in caso di attività promiscua, di quella prevalente.
6. Vendita in blocco e vendita cumulativa
Uno dei problemi maggiormente dibattuti in tema di prelazione commerciale
urbana è quello della c.d. vendita in blocco, che si verifica allorquando il locale adibito
a locazione commerciale venga alienato unitamente ad altri locali estranei alla
locazione interessata alla prelazione; si tratta di stabilire se in tal caso la prelazione
del singolo locale inserito nel blocco possa essere esercitata.
In proposito, dopo iniziali incertezze, la Cassazione si è espressa nel senso che la prelazione non opera, per la mancata coincidenza tra il bene venduto e il bene assoggettato a prelazione.
Nel caso di vendita in blocco dell'intero edificio in cui si trova l'immobile locato, il conduttore di questo non ha diritto alla prelazione ed al riscatto né sulla singola unità immobiliare per non essere essa separabile dal tutto, né sull'intero edificio, trattandosi di bene diverso da quello locato.
Il problema della vendita in blocco è stato sempre visto in alternativo al diverso problema della vendita cumulativa: quest’ultima si sostanzia in una vendita con unico atto, avente per oggetto varie unità immobiliari dotate di una propria autonomia;
in tal caso occorre stabilire se l'oggetto del contratto sia unico, sia, cioè, un complesso immobiliare dotato di una propria individualità giuridico - strutturale, o se contenga tanti atti di disposizione per quanti sono gli immobili, sia, cioè, un atto traslativo ad oggetto plurimo: mentre nel primo caso la prelazione ed il riscatto devono essere esclusi per le stesse ragioni per le quali lo sono nella vendita in blocco (in quanto oggetto del trasferimento è un bene che ha una configurazione sua propria, che lo rende diverso dall'immobile locato), nel secondo devono essere riconosciuti, poiché realizzano le finalità dell'accorpamento aziendale perseguito dalla legge.
Connotato essenziale della vendita cumulativa è che essa si verifica quando gli immobili posti in vendita, anche se con atto unico ed a prezzo complessivo, conservino la loro individualità e formino oggetto di distinti trasferimenti sebbene occasionalmente collegati.
Occorre accertare se l'oggetto della compravendita, considerato nel suo complesso, costituisca o meno un compendio immobiliare che, nello stato in cui si trova, sia dotato di una propria individualità giuridica e strutturale, oggettiva ed effettiva.
7. Tipologie negoziali a cui la prelazione non è applicabile.
La legge non qualifica la tipologia negoziale che fa scattare il meccanismo della prelazione. Si intuisce comunque che il negozio-tipo preso in considerazione sia stata la compravendita.
E, a differenza di quanto accade per la prelazione agraria, il legislatore non menziona come ipotesi esclusa la permuta. Pertanto uno dei problemi che si pongono è quello di accertare se la permuta rientri o meno nella prelazione commerciale urbana.
La giurisprudenza della Cassazione afferma chiaramente che la permuta resta esclusa alla prelazione e dal riscatto in argomento, per la sostanziale considerazione che all'interno della permuta manca la possibilità, per il conduttore, di offrire condizioni esattamente uguali a quelle comunicategli.
Per analoghi motivi la giurisprudenza ha escluso che sia applicabile la prelazione:
- per l’atto di conferimento in società, il quale non può essere configurato come "trasferimento a titolo oneroso" né è possibile che il titolare del diritto di prelazione possa offrire al locatore-venditore la medesima controprestazione e le medesime condizioni, in quanto il conferimento in società è correlato alla qualità di socio;
- per la cessione di quote della società locatrice, che non è in alcun modo assimilabile al trasferimento a titolo oneroso dell'immobile predetto, né alla diversa ipotesi della alienazione della quota in comproprietà dell'immobile che i comproprietari hanno concesso in locazione ad un terzo;
- nel caso di vendita forzata dell'immobile locato;
- nel caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori;
- nel caso di vendita della quota di proprietà del bene locato, mancando anche in questo caso l'imprescindibile presupposto dell'identità dell'immobile locato con quello venduto.
E si è anche chiarito che in materia di divisione giudiziale di immobile non comodamente divisibile, l'attribuzione del bene al comproprietario avente diritto alla quota maggiore non può essere opposta con la prelazione, giacché questa presuppone la libera determinazione del proprietario-locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile.
8. La Rinuncia alla prelazione.
La giurisprudenza maggioritaria ha sostanzialmente affermato che la rinuncia al diritto di prelazione non può avvenire in astratto, ma soltanto dopo che il fatto costitutivo della prelazione si sia realizzato, cioè dopo che la denuntiatio sia avvenuta nel rispetto delle forme previste.
La giurisprudenza ha precisato che la rinuncia del conduttore ad esercitare la prelazione opera come proposta di scioglimento del vincolo giuridico nel quale si sostanzia l’accordo sull’esercizio della prelazione e può,come tale, essere revocata prima della dichiarazione di accettazione della controparte.
E’ stato anche precisato che la previsione pattizia di esclusione o di rinuncia del conduttore al suo diritto di prelazione e di riscatto dell'immobile locato ad uso non abitativo è parzialmente nulla, ma essa non importa la nullità del contratto, poiché in tal caso la clausola nulla è sostituita di diritto da norma imperativa, per effetto dell’art. 79 della legge n. 392 del 1978.
9. Il presupposto della Locazione.
Il diritto di prelazione presuppone che la locazione sia in corso "de iure" al momento in cui il locatore aliena l'immobile locato, atteso che la sussistenza del rapporto costituisce l'elemento essenziale per la destinazione dell'immobile.
Pertanto deve ritenersi che nessun diritto di prelazione e di riscatto competa al soggetto che permanga, "de facto", nella detenzione non qualificata dell'immobile.
Altro è il problema della sorte della prelazione allorquando il contratto di locazione sia stato ceduto ad altri. In proposito si è deciso che in caso di cessione del contratto di locazione, la prelazione possa essere esercitata soltanto dal conduttore cessionario del contratto. Sulla base di questa affermazione si è affermato che la prelazione:
- in caso di sublocazione spetta al sub conduttore e non al vecchio conduttore.
- spetta anche al contitolare o consocio di una società di persone della relativa impresa cui partecipino anche soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo.
La prelazione spetta per la locazione stipulata dall'usufruttuario nel caso di accordo intervenuto fra l'usufruttuario medesimo ed il nudo proprietario per la vendita contemporanea dei relativi
diritti, restando in tal caso a carico del nudo proprietario l'onere della "denuntiatio" al conduttore.
Non spetta il diritto di prelazione e riscatto con riferimento ai rapporti nei quali conduttore sia la pubblica amministrazione.
10. Il Retratto.
Il diritto del conduttore di subentrare al terzo acquirente del bene immobile in caso di mancata osservanza delle norme sulla prelazione:
a) è un diritto potestativo del retraente;
b) si estrinseca in una dichiarazione unilaterale recettizia.
Il retratto si ha in tutte le seguenti ipotesi:
a) omessa comunicazione dell'intento di alienare;
b) vendita a condizioni diverse;
c) vendita a terzi dell'immobile locato nonostante l'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore;
d) nel caso in cui la stipulazione dell'atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella "denuntiatio".
L'esercizio del diritto di riscatto ha come effetto non la risoluzione del contratto traslativo a vantaggio del terzo e la contestuale formazione di un titolo di acquisto "ex nunc" a favore del retraente, né un nuovo trasferimento del diritto sul bene dal terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, ma la sostituzione con effetto "ex tunc" di detto titolare al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio concluso, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia, sicché la pronuncia, che decida positivamente sul valido esercizio di detto diritto potestativo del conduttore, è di mero accertamento del già avvenuto trasferimento.
Il retratto va proposto nei confronti di entrambi i coniugi che abbiano acquistato il bene il regime di comunione legale, pena la decadenza se decorrono i termini e l’azione di retratto sia stata proposta soltanto nei confronti di un solo coniuge.
La dichiarazione (stragiudiziale o con citazione) va presentata nel termine legale di decadenza di sei mesi,che decorre dalla data della trascrizione dell’atto di vendita; si è chiarito che il termine
di decadenza è assoluto e prescinde da ogni considerazione sui motivi per i quali il conduttore non sia venuto a conoscenza della trascrizione.
B] La prelazione di immobili abitativi.
11. Ambito di applicazione
L’art. 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 stabilisce che alla prima scadenza
dei contratti di locazione “il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, per i seguenti motivi”. Uno dei motivi presi in considerazione dalla norma è il seguente: quando il locatore intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso, aggiunge la norma, “al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392”.
La prelazione ha una duplice finalità:
a) consentire al proprietario-locatore di cedere il bene come bene libero, allo scopo di un più favorevole prezzo di vendita;
b) consentire al conduttore di continuare ad abitare l’appartamento goduto in locazione.
Pertanto la norma si preoccupa di soddisfare sia l’interesse del locatore che l’interesse del conduttore.
A differenza della locazione commerciale, nella quale la prelazione si preoccupa di soddisfare esclusivamente il conduttore, nell’interesse dell’azienda da questi esercitata, nella locazione abitativa, invece, viene tutelato anche l’interesse del locatore: da ciò uno stretto collegamento tra disdetta e prelazione, nel senso che la seconda opera soltanto ove sia stata esercitata la prima.
Presupposto quindi per l’applicabilità della prelazione è che il locatore dia disdetta (non per qualsiasi motivo) ma solo perché intende alienare il bene a terzi.
Tutti gli altri tipi di disdetta non fanno sorgere la prelazione (così come se il locatore cambia idea successivamente).
Se l’appartamento non viene venduto entro un anno dalla data in cui il locatore ha riacquistato la disponibilità dell’alloggio, il conduttore ha diritto, ai sensi dell’art. 3, 5° comma della legge in esame, al ripristino del rapporto di locazione.
Disdetta e prelazione sono istituti diversi, che operano autonomamente, ognuno con proprie regole e con propri dati formali. Ma esse si intersecano a vicenda.
Perché sorga la prelazione occorre che la disdetta abbia dato i suoi frutti, ma per dare i suoi frutti occorre che l’appartamento sia venduto. Se il locatore non riesce a trovare un acquirente dell’appartamento, egli non sarà in grado di fare la denuntiatio per l’esercizio della prelazione da parte del conduttore, perché la denuntiatio presuppone, ai sensi dell’art. 38 della legge 392/1978, la notifica tramite ufficiale giudiziario, con l’indicazione del prezzo di vendita e delle altre modalità contrattuali.
Una delle condizioni previste dalla nuova norma perché possa operare la prelazione in discorso è che il proprietario-locatore non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione.
La norma stabilisce che la disdetta può essere chiesta allorquando:
a) il soggetto intenda alienare l’unità abitativa;
b) contemporaneamente non abbia la titolarità di altra unità abitativa, ad eccezione di quella eventualmente adibita a propria abitazione.
La normativa è impostata sul fatto che il locatore sia anche proprietario del bene che intende porre in vendita. Ciò comporta che la norma non possa trovare applicazione nell’ipotesi che il locatore sia usufruttuario e non proprietario del bene, a differenza della prelazione commerciale. Si è detto che la disposizione in discorso trova applicazione solo nell’ipotesi che il locatore
sia persona fisica, perché soltanto per le persone fisiche può parlarsi di “propria abitazione”, anche se questa limitazione non trova d’accordo la prevalente dottrina.
12. Immobili esclusi.
L’art. 1 commi 2° e 3° della legge 431 dispongono che le nuove disposizioni
non trovano applicazione per determinate categorie di alloggi, che vengono così
specificati:
a) immobili vincolati ai sensi della normativa sui beni culturali;
b) immobili inclusi nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (ville), A/9
(castelli e palazzi di preminenti pregi artistici e storici);
c) alloggi di edilizia residenziale pubblica;
d) alloggi locati esclusivamente per finalità turistica;
e) alloggi caratterizzati da contratti di locazione stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio.
Nel caso dei beni culturali è evidente che opera la prelazione dello Stato, considerata più una sorta di espropriazione indiretta che una vera e propria prelazione; ed è altresì evidente che il commercio dei beni culturali, data la loro caratteristica, segue una sua propria rigida disciplina, intesa a controllare il commercio giuridico di questi beni così rilevanti sul piano dell’interesse generale.
Le categorie di beni previste nella lettera b) erano state già escluse dalla disciplina della legge 392/1978, presumibilmente perché si tratta di abitazioni così particolari da farle ritenere insuscettibili di essere incluse in una normativa generale sulle locazioni.
La norma parla di “locatore che intenda vendere”; l’espressione è certamente più ristretta della precedente utilizzata dall’art. 38 della legge 392 del 1978, che recitava “intenda trasferire a titolo oneroso”. La parola “vendita” identifica un tipo di atto ben preciso, mentre la parola “trasferimento” comprende tutta una categoria di atti.
Lo stretto collegamento esistente tra prelazione e disdetta impedisce, poi, un’utilizzazione distorta del negozio posto in essere. Il locatore, insomma, non può richiamarsi ad una tipologia negoziale diversa dalla compravendita per impedire che operi la prelazione, perché egli ha titolo per chiedere la disdetta soltanto in caso di vendita dell’appartamento. Se egli intendesse permutarlo o conferirlo in società, non potrebbe utilizzare la disdetta.
13. La disdetta
La disdetta è regolata dalla legge 431/1998 secondo cui:
- il contratto di locazione ha la durata di quattro anni, scaduti i quali si rinnova tacitamente, salvo disdetta per motivi ben precisi stabiliti dalla legge;
- in caso di rinnovo tacito il contratto ha la durata di altri quattro anni, scaduti i quali il contratto si può sciogliere senza ancorarsi a particolari motivazioni.
Solo in caso di silenzio di entrambe le parti, il contratto è rinnovato tacitamente alle stesse condizioni (così art. 2, 1° comma legge 431).
Prima della scadenza dei primi quattro anni, per evitare che il contratto prosegua, occorre la disdetta: se manca la disdetta, il contratto di locazione non viene meno e non può scattare neppure la prelazione.
La disdetta è un negozio unilaterale recettizio a contenuto patrimoniale, che adempie (nel nostro caso) alla funzione di impedire la rinnovazione tacita del rapporto alla prima scadenza prestabilita.
La disdetta è cosa diversa dal recesso: la disdetta presuppone che il contratto venga a scadenza e per evitare il rinnovo tacito il locatore si premunisce invitando il conduttore a liberare il bene (e per essa trova applicazione l’art. 1334 cod. civ.); il recesso, invece, è il potere, riconosciuto ad uno o a entrambe le parti del rapporto di locazione, di porre fine al vincolo mediante dichiarazione unilaterale di volontà prima della scadenza pattizia (e per esso trova applicazione l’art. 1373, 2° comma cod. civ.).
La legge 431 non stabilisce come, in concreto, debba essere comunicata la disdetta, per cui occorre rifarsi alla legge 392 del 1978, che la disciplina con un minimo di formalismi.
Nella legge 392 del 1978 la disdetta è prevista sia dall’art. 3 che dall’art. 28 di essa legge; nel primo caso la disdetta opera per le locazioni abitative, nel secondo caso per le locazioni commerciali. Nel primo caso è sufficiente la comunicazione della disdetta, senza necessità di motivazione; per le locazioni commerciali, invece, la disdetta va motivata, perché la legge prevede la disdetta non in assoluto, bensì sulla base di determinate situazioni che vanno indicate nel negozio unilaterale recettizio. Pertanto:
a) occorre accertarsi se sia stata spedita una lettera raccomandata o strumento di trasmissione di pari o maggiore proficuità (notifica a mezzo ufficiale giudiziari; telegramma; telex; raccomandata a mano, tutti ritenuti adeguati dalla giurisprudenza);
b) occorre accertare soprattutto se la disdetta sia pervenuta a conoscenza del conduttore (argomentando dagli artt. 1334 e 1335 cod. civ., concernenti rispettivamente l’efficacia degli atti unilaterali e la presunzione di conoscenza di essi) tempestivamente nel termine decadenziale previsto dalla legge (non basta la data di trasmissione della raccomandata, ma è necessario accertare la data di arrivo).