I modi di estinzione dell’obbligazione.

 

La Novazione (1230)

Oggi il nostro codice prevede solo la novazione oggettiva (1230), mentre prima era disciplinata anche la novazione soggettiva, che si aveva nella ipotesi di cambiamento di un soggetto del rapporto obbligatorio, ossia del creditore o del debitore. Oggi invece si parla più propriamente di successione nel debito o nel credito.

Si ritiene infatti che la novazione soggettiva attiva non esista, perché quando cambia il creditore non si ha alcuna alterazione del rapporto.

Se, al contrario, si ammettesse la novazione soggettiva passiva bisognerebbe conseguentemente affermare che ogniqualvolta che cambia il soggetto, il rapporto si estingue; cosa quest’ultima che in realtà non avviene perché si ha solo una successione nel medesimo debito. Le conseguenze di una simile impostazione avrebbero importanti e molteplici conseguenze, non in ultimo riguardo alla prescrizione stessa.

Solo autorevole ma del tutto isolata parte della dottrina ammette la possibilità di una novazione soggettiva, in ossequio al principio della libertà e sovranità della volontà delle parti.

La novazione è un modo di estinzione non satisfattorio, in quanto l’interesse del creditore non è realizzato, e si ha la sostituzione dell’obbligazione originaria con una nuova (questa sarebbe la la causa della novazione).

Si discute sulla natura della novazione stessa:

-           Una prima tesi ne afferma la natura oggettiva, in quanto non sarebbe un negozio giuridico ma solo un effetto dell’incompatibilità con la nuova obbligazione;

-          E’ tuttavia stato messo in luce che si tratta di un vero e proprio contratto e quindi di un autentico negozio giuridico. Ciò si ricava dalla lettera dello stesso 1230 secondo cui “ la volontà di estinguere l’obbligazione deve essere inequivoca”. Pertanto non sarebbe sufficiente l’oggettiva incompatibilità ma sarebbe necessario anche l’animus novandi, che potrebbe essere desumibile anche da fatti concludenti.

La novazione inoltre si può attuare solo a mezzo di contratto perché non è possibile incidere su posizioni di altri soggetti con negozi unilaterali: il creditore o il debitore pertanto non possono sostituire l’obbligazione senza il consenso dell’altro, in virtù del tradizionale principio della relatività dei contratti e degli atti negoziali in generale.

La nuova obbligazione deve essere oggettivamente diversa da quella precedente (l’art.1230 richiede il mutamento del titolo o dell’oggetto). A tal fine si discute se l’aliquid novi consista in una diversa prestazione e si ritiene sufficiente anche solo un mutamento qualitativo dell’oggetto. Non deve inoltre essere una modificazione accessoria (1231). Qualora invece si avesse solo una modifica quantitativa si avrebbe solo una modifica del rapporto.

Si ha infine novazione causale qualora cambia il titolo, ossia la ragione giustificatrice dell’obbligazione.

Si ritiene che l’apposizione di una condizione o di un termine, in quanto modifichino il contenuto dell’obbligazione importino novazione, mentre non sono rilevanti il termine di adempimento o il modus.

Si discute se un’obbligazione naturale possa essere oggetto di novazione in una obbligazione civile, e prevale la soluzione negativa in quanto se la novazione consiste nella sostituzione di un rapporto giuridico ad un altro, non potrebbe trovare applicazione nei confronti dell’obbligazione naturale che non è un rapporto giuridico.

Al pari dei negozi risolutori, si ritiene che anche la novazione debba avere la stessa forma del negozio principale.

Si ritiene infine possibile la novazione di un’obbligazione futura purchè sia determinabile; la sua efficacia è sospesa fino alla sua venuta ad esistenza della obbligazione stessa. Si ritiene altresì possibile l’apposizione di una condizione risolutiva alla nuova obbligazione.

L’efficacia estintiva della novazione è generale e pertanto le garanzie si estinguono, se non è convenuto espressamente di mantenerle (1232), nonché la medesima sorte hanno tutte le relative azioni ed eccezioni.

La novazione è senza effetto se non esisteva l’obbligazione originaria (1234).

Si ritiene che la norma preveda, nonostante la lettera che parli di inefficacia, una vera e propria ipotesi di nullità per difetto di causa. Si ricorda tuttavia che la compensazione e la prescrizione non operano automaticamente ma solo se eccepite.

Nell’ipotesi invece che l’obbligazione originaria sia annullabile (comma 2), la novazione è valida se il debitore conosceva il vizio.

In caso di rescindibilità si applica la disciplina dell’annullabilità con la sola differenza che la novazione non può convalidare l’obbligazione precedente.

Quanto infine alla risoluzione se la relativa azione è già stata esercitata, la novazione resta senza effetto; se invece l’atto da cui risulta il negozio è solo impugnabile, si applicherà le regole dettate in tema di annullabilità ai sensi dell’art. 1234 comma 2.

L’art. 1976 prevede inoltre che la risoluzione della transazione per inadempimento non possa essere richiesta se il rapporto preesistente si era estinto per novazione. Si discute tuttavia sulla possibilità di configurare una transazione novativa (nonostante la lettera della norma che la ammette) per le forti differenze che vi sono tra queste due figure.

 

La Remissione del debito.

Consiste nella dichiarazione del creditore di voler liberare il debitore (1236), dichiarazione che estingue l’obbligazione. E’ una modalità di estinzione dell’obbligazione non satisfattoria.

In quanto tale, si tratta di un atto di disposizione del credito, che richiede l’ordinaria capacità di disporre; il credito inoltre deve essere disponibile e determinabile.

Nell’ipotesi in cui il creditore sia incapace, qualora l’atto integri una donazione indiretta, si ritiene che non possa essere stipulato, salvo espressa autorizzazione del giudice.

La remissione consiste e coincide quindi nella rinuncia al credito: mentre la rinuncia è la categoria generale che riguarda ogni tipologia di diritto, la remissione è la rinuncia di un credito. Tuttavia parte della dottrina (-) sottolinea la differenza tra rinuncia e remissione in quanto mentre la remissione produce l’estinzione dell’obbligazione, la rinuncia è diretta solo alla dismissione del diritto (e pertanto non esisterebbe più una obbligazione da adempiere).

In generale tutti i crediti possono essere rinunciati, salvo i divieti di legge (come per esempio i crediti alimentari). Si ritiene inoltre che possano essere rinunciati anche crediti futuri ai sensi dell’art.1348 (in tal senso è orientata anche la giurisprudenza). Hanno invece carattere eccezionale il divieto alla rinuncia alla successione non aperta (che integra un patto successorio rinunciativo ex 458) e la rinuncia alla prescrizione (2937). 

Si discute se l’obbligazione naturale possa essere oggetto di remissione: parte della dottrina la ritiene ammissibile sostenendo che in tal modo si ha la liberazione dai doveri sociali; altri invece negano tale possibilità sostenendo l’inesistenza e l’indisponibilità del diritto.

Quanto alla natura giuridica si ritiene che la remissione sia un negozio unilaterale recettizio, dal momento che la sola comunicazione al creditore estingue l’obbligazione salvo l’opposizione del debitore che ha effetto di condizione risolutiva retroattiva. L’adesione del debitore rende irrevocabile la remissione. E’ inoltre un atto neutro in quanto di per sé ne oneroso ne gratuito. Quanto al congruo termine, per l’opposizione, si ritiene applicabile il 1333 comma 2 per cui si fa riferimento alla natura dell’affare e agli usi.

Pur avendo l’opposizione efficacia retroattiva si ritiene che le garanzie che assistevano il credito sono definitivamente estinte, applicandosi per analogia l’art. 1276.

Si ritiene possibile la remissione parziale e, qualora l’obbligazione sia indivisibile, il rapporto non si estingue ma sorge a favore del debitore un diritto di credito equivalente.

L’art. 1301 prevede che la remissione a favore di uno dei debitori in solido, libera anche gli altri salvo apposita riserva.

Quanto alla forma, essendo un negozio modificativo e accessorio, si ritiene che debba essere determinata per relationem.

Esiste poi la remissione tacita (1237) per cui la restituzione volontaria del titolo originale  costituisce prova della liberazione (cd. dichiarazione tipica); la consegna della copia esecutiva del titolo di credito fa presumere la liberazione (dichiarazione tacita).

Parte della dottrina ha affermato che la remissione consisterebbe sempre in una donazione indiretta: tuttavia si è osservato che si ha donazione solo quando si vuole avvantaggiare il debitore mentre la remissione può essere anche solutionis causa o per altri motivi. Inoltre la remissione fatta con animo liberale si differenzia dalla donazione liberatoria che è sempre un contratto (che ha per oggetto la liberazione del donatario da un obbligo preesistente). Al riguardo, la rinuncia all’usufrutto, senza altro specificare, si discute se può parlarsi di donazione (indiretta che non richiede accettazione) o di rinuncia abdicativa.

La remissione si distingue anche dal pactum de non petendo, ossia dal patto di natura obbligatoria con cui il creditore si impegna a non esigere dal debitore quanto dovuto per un determinato tempo: si tratta più propriamente di una rinuncia all’azione e non al credito.

 

La Compensazione (1241)

Quando due persone sono obbligate l’un verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. L’istituto risponde ad una esigenza di economicità dei mezzi giuridici, e di garanzia della realizzazione del credito. Si tratta di un modo di estinzione satisfattorio in quanto consiste in un reciproco scambio di estinzioni.

La compensazione ha efficacia retroattiva ai sensi del 1242 in quanto estingue i 2 debiti dal giorno della loro coesistenza. La prescrizione non impedisce la compensazione (comma 2).

Ai sensi del 1250 la compensazione non può pregiudicare i diritti dei terzi (se il controcredito è sorto dopo il pignoramento, la compensazione non è opponibile al pignorante).

Si distinguono tre tipi di compensazione:

- legale, che opera ope legis tra due debiti fungibili dello stesso genere, liquidi e esigibili (1243). Affinché vi sia compensazione vi deve tuttavia essere la dichiarazione di voler estinguere i due debiti, che ha natura costitutiva della fattispecie e di esercizio del diritto potestativo; il giudice non può rilevarla d’ufficio ma l’eccezione deve essere sollevata dalla parte. L’eventuale sentenza è di mero accertamento.

Requisiti sono la fungibilità, omogeneità (sostituibilità), liquidità (non controversi e certi nell’ammontare) e esigibilità (poter essere fatti valere giudizialmente).

La legge fallimentare prevede la possibilità di compensare i debiti anche non scaduti.

- giudiziale, in quanto è dichiarata dal giudice, per i debiti di facile e pronta liquidazione, il cui ammontare è liquidato dal giudice (1243 comma 2); anche l’omogeneità è valutata con minor rigore. la sentenza è costitutiva.

- volontaria (1252) quando non ci sono i requisiti per la compensazione legale e la volontà delle parti supplisce alla mancanza di omogeneità, liquidità e esigibilità. Tuttavia anche nella compensazione volontaria i debiti devono essere reciproci, perché la compensazione tra un credito certo ed uno incerto ha natura di transazione o di contratto aleatorio.

Esistono ipotesi in cui la legge ammette la compensazione pur in mancanza di reciprocità: 1247 (fideiussione, pegno e ipoteca) e 1248 (cessione credito).

Le parti possono inoltre stabilire le condizioni per compensazioni future (cd. regolamentare).

Si ha compensazione cumulativa quando questa si svolge tra una pluralità di soggetti; quanto al c\c bancario le singole rimesse non rimangono inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto ma producono un saldo (regime compensativo) in ogni momento.

Quanto alle obbligazioni naturali mentre si esclude la compensazione legale e giudiziale, si ritiene che possa trovare applicazione quella volontaria, in quanto disciplinata dalla volontà delle parti.

L’art. 1246 elenca i crediti non suscettibili di compensazione. La norma si riferisce alla compensazione legale ma si ritiene che anche per quella volontaria non possano essere compensati i crediti impignorabili (alimentari) e quelli vietati dalla legge. Esistono poi divieti particolari come quello per la cessione del credito (1248) e le società di persone (2271).

E’ invece possibile che la compensazione operi in caso di aumento di capitale, ossia che il socio sottoscriva l’aumento compensando il debito dal conferimento dovuto con un credito che vanta verso la società poiché in tal modo non vi è alcun pregiudizio all’integrità del capitale sociale, eliminandosi una posta negativa del bilancio. Si ritiene che, essendo un conferimento diverso dal denaro non sia necessaria la relazione di stima ma solo opportuna in quanto il debito del socio è iscritto in bilancio.

 

La Confusione.

Si ha quando la qualità di debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona, e l’obbligazione si estingue (1253). Si discute se sia un modo satisfattivo o meno di estinzione dell’obbligazione e, non essendoci adempimento ma incidendo sulla struttura stessa del rapporto, si propende per la seconda tesi. L’estinzione sarebbe una logica conseguenza della struttura del rapporto obbligatorio caratterizzato dalla dualità dei soggetti; tuttavia esistono ipotesi in cui, pur coincidendo la persona del debitore e creditore, il rapporto non si estingue (cd. rapporto obbligatorio unisoggettivo) perché continuano a esistere due centri di interesse sostanzialmente contrapposti. La confusione troverebbe la sua ragione nell’inutilità del persistere del rapporto obbligatorio .

A seguito della confusione, i  terzi che hanno prestato garanzie per il debitore sono liberati. Né la confusione può operare in pregiudizio dei terzi (1254).

L’art. 1255 prevede inoltre la particolare ipotesi della riunione nella stessa persona della persona del fideiussore e del debitore: la fideiussione resta in vita purchè il creditore ne abbia interesse.

 

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