Acquisti con denaro personale.

E’ discusso in dottrina e giurisprudenza se l’acquisto di un bene da parte di un coniuge in regime di comunione legale con denaro personale , sia un bene personale ai sensi dell’art. 179 lett. f) – con conseguente dichiarazione del coniuge non acquirente ai sensi dell’art. 179 comma 2 c.c. – oppure rientri nella comunione legale.

A tale proposito dottrina e giurisprudenza hanno assunto posizioni diverse.

Una prima tesi in dottrina sostiene la tesi più permissiva: il denaro essendo un bene mobile, rientrerebbe nel concetto di beni di cui all’art. 179 c.c. f) e quindi l’acquisto effettuato con il relativo scambio potrebbe essere escluso dalla comunione. Si tratterebbe più precisamente di una particolare "surrogazione reale" in quanto non ha avuto luogo nessun incremento di valore nel patrimonio del coniuge (che giustificherebbe l'acquisto in comunione legale) ma solo una modifica qualitativa dei beni che lo compongono: a un bene personale se ne sostituisce un altro.

Tuttavia il dibattito si è spesso spostato sulla prova della effettiva "personalità" del denaro: Infatti altra dottrina ritiene che provare che il denaro che si è utilizzato per l’acquisto del bene sia personale – specie a distanza di anni – è in concreto impossibile in quanto si è confuso con il resto del patrimonio dei coniugi e, di conseguenza,  l’acquisto cadrebbe in comunione.

La Cassazione 19250/04 ha optato per la tesi negativa e quindi per la caduta del bene in comunione legale, seppure poi mitigando la propria posizione con successive pronunce : “la qualità di bene personale e la conseguente esclusione dalla comunione non conseguono per il semplice fatto che il bene sia stato acquistato con denaro proprio di uno dei coniugi; è invece necessario che l’acquisto sia effettuato con denaro proveniente la vendita di beni personali, oppure mediante la permuta con altri beni personali”. La circostanza dell’appartenenza esclusiva ad uno dei coniugi del denaro necessario per l’acquisto dei beni non costituisce elemento sufficiente per escludere l’acquisto dalla comunione legale, essendo invece necessario che l’acquisto sia effettuato con denaro proveniente dalla vendita di beni personali, perché il denaro – in quanto tale – non rientrerebbe nelle tassative ipotesi di cui all’art. 179 a), b), c), d) ed e) e pertanto non sarebbe suscettibile di surrogazione reale ex 179 f).

Recente sentenza della Cass. 1197/06 ha tuttavia precisato che qualora il denaro ottenuto a titolo di prezzo per l’alienazione di un bene personale sia accantonato in banca in un conto personale, oppure sia comunque "certa" la sua qualifica di bene personale (perchè pervenuto prima del matrimonio o per donazione/successione ed accantonato) potrà essere successivamente utilizzato per l’acquisto di un bene personale ex 179 f) in quanto rimane nella esclusiva disponibilità del singolo coniuge.

La soluzione è inoltre diversa qualora il denaro utilizzato rappresenti il reddito di uno dei coniugi, posto che i proventi dell'attività di ciascun coniuge sono beni personali finchè restano liquidi ma, una volta impiegati per l'acquisto di beni, questi ultimi ricadono in comunione (178).

Natura della dichiarazione del coniuge non acqurente.

La funzione dell'intervento adesivo del coniuge non acquirente è condizione necessaria ma non sufficiente per rendere l'acquisto personale e quindi escluderlo dalla comunione legale.

L'art. 179 deve infatti interpretarsi in maniera tassativa, anche in relazione alle lettere ed ai requisiti richiamati dalla lettera f) dell'articolo stesso e quindi, se il bene "scambiato" non era effettivamente personale, nonostante la dichiarazione anche del coniuge non acquirente, sarà in comunione legale. L'intervento del coniuge non acquirente può infatti assumere alternativamente natura di dichiarazione ricognitiva, a contenuto sostanzialmente confessorio (quando si attesta un fatto dichiarato come avvenuto: riconosce il corrispettivo pagato con denaro personale) o natura di manifestazione di intenti, quando si esprime un'intenzione riferita al futuro (es: sarà utilizzato per l'attività professionale).

Ritrattazione della dichiarazione del Coniuge non alienante (Cass. SU 22755/09):

 La possibilità per il coniuge non acquirente di "ritrattare" la dichiarazione resa in atto varia a seconda della tipologia della dichiarazione resa, se di natura confessoria o di condivisione di intenti. Nella prima ipotesi, una azione di accertamento sarà possibile qualora vi siano le condizioni per revocare la confessione fatta, ossia errore di fatto o una violenza, ai sensi dell'art. 2732 c.c.. Qualora invece il coniuge sia intervenuto dichiarando di condividere la futura destinazione del bene, sarà necessario accertare quale destinazione il bene abbia avuto effettivamente (es: destinazione alla professione), indipendentemente dalle dichiarazioni rese. In quest'ultima ipoesi sarà quindi la mera destinazione di fatto del bene a confutare o meno le dichiarazioni rese in atto.

 

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