La Rinuncia

 

La rinuncia in senso stretto è il negozio consistente nella dismissione di un diritto dal patrimonio del rinunciante.

Si tratta di una causa tipica ma non riconducibile alla distinzione fra causa onerosa e causa gratuita: l'acquisto del diritto dismesso dal rinunciante a vantaggio del terzo, pur basato sulla medesima causa giuridica della rinunzia, costituisce un effetto legale e non immediato del negozio. Per questo motivo la rinuncia non può essere considerata di per sé una liberalità indiretta.  

La rinuncia è quindi un negozio istituzionalmente abdicativo e:

- unilaterale: il titolare del diritto se ne priva, limitandosi a dismetterlo senza trasferirlo ad altri. In quanto negozio unilaterale si ritiene applicabile l’art. 1324 c.c per cui si applica, in quanto compatibile, la disciplina dei contratti (a tale riguardo si discute se agli atti unilaterali sia applicabile l’art. 1322 e, secondo una tesi ancora maggioritaria, si opta per la teoria della tipicità degli atti unilaterali);

- non recettizio: la rinuncia non ha un destinatario immediato; se vi è un accrescimento del patrimonio di altro soggetto, questo avviene sempre in via mediata ed indiretta né può essere lo scopo del rinunciante;

- efficacia immediata (salvo la presenza di condizioni) e, per questo, è normalmente irrevocabile (tranne la rinuncia all’eredità).

Mentre la revoca opera ex tunc, con effetti retroattivi, eliminando il negozio dal mondo giuridico, la rinuncia (come il recesso) opera ex nunc, comportando la dismissione di un diritto già acquistato.

La rinuncia si distingue anche dal rifiuto, che consiste nella manifestazione della volontà di impedire l’acquisto di un diritto. La dottrina ha distinto:

- rifiuto impeditivo: che impedisce che un diritto entri a far parte del patrimonio;

- rifiuto eliminativo: che neutralizza gli effetti già prodotti nel patrimonio ma non ancora stabilizzati (es. rifiuto del terzo ex 1411 o rinuncia al legato). In tali ipotesi l’acquisto non definitivo si risolve retroattivamente.

Infine, a differenza dalle rinuncia, la donazione liberatoria è un contratto ove il donante vuole incrementare il patrimonio altrui liberando il donatario da una sua obbligazione o dismettendo un diritto. Nulla tuttavia vieta che si utilizzi lo schema della rinuncia per realizzare una liberalità non donativa qualora vi sia l’intento (interno) di voler beneficiare un terzo.

 

La rinuncia viene in rilievo in diverse fattispecie:

 

1)       Rinuncia all’eredità

Riguardo tale fattispecie, la dottrina ha ipotizzato diverse ricostruzioni ed in particolare:

a)       La rinuncia è abdicativa del diritto di accettare;

b)       La rinuncia è abdicativa della qualità di chiamato;

c)       La rinuncia si atteggia a rifiuto impeditivo, così da evitare ab origine la qualità di erede.

Si ricorda che anche per tale atto non è necessaria la presenza dei testimoni ai sensi dell’art. 1 R.D. 1666/37.

Relativamente alla revoca della rinuncia (525 c.c.) nonostante il nomen utilizzato, non si tratta di vera revoca quanto piuttosto di una accettazione tacita in quanto la delazione non cade nei confronti del rinunciante (tamquam non esset: è considerato come se non fosse mai chiamato).

Un problema particolarmente spinoso relativo alla rinuncia della eredità è se il rinunciante debba o meno calcolarsi ai fini del computo della legittima degli altri eredi (cd. quota mobile):

T1) una prima tesi, secondo il principio della retroattività della rinuncia, prevede la irrilevanza dei rinuncianti;

T2+) un secondo orientamento, confortato anche da una recente sentenza della Cass., prevede invece la rilevanza anche di chi rinuncia ai fini del computo delle quote di legittima poiché il momento rilevante a cui bisogna riferirsi è il momento dell’apertura della successione, a prescindere dalle rinunce successive.

 

2)       Rinuncia ad un diritto reale (proprietà)

La mera rinuncia ad un diritto reale è un negozio unilaterale abdicativo e non recettizio.

Si tratta quindi di un negozio unilaterale dismissivo che deve rivestire la forma scritta qualora il legato abbia ad oggetto un immobile. In tali ipotesi deve pertanto anche essere trascritto.

Si distingue dalla cd. rinuncia traslativa (che è invece un contratto) perché la dismissione del diritto non avviene a favore di nessun soggetto, salvo gli effetti legali propri del diritto dismesso.

In particolare si e` osservato che la rinunzia al diritto di godimento produce la estinzione di tale diritto ma il vantaggio che ne trae il dominus non deriva direttamente dalla rinunzia, ma ha la sua ragione d'essere nella forza espansiva  del diritto di proprietà.

 

3)       Rinuncia al credito (cd. remissione)

Con la remissione del debito il creditore libera il debitore dalla obbligazione. E’ quindi un modo di estinzione non satisfattivo. Al debitore è lasciata la scelta di rifiutare la remissione entro un congruo termine (facendo così rivivere l’obbligo a suo carico).

Parte della dottrina riteneva che la figura de quo avesse natura di contratto, attribuendo rilevanza anche alla volontà del debitore. La tesi ormai maggioritaria è che si tratti di un negozio unilaterale recettizio.

L’eventuale rifiuto del debitore è stato configurato come:

-          Condizione risolutiva dell’avvenuta estinzione dell’obbligo;

-          Il mancato rifiuto funge da condizione sospensiva (per evitare l’incongruenza della riviviscenza dell’obbligazione).

In tale ipotesi si ritiene che solo le garanzie accessorie prestate dal debitore rivivino e non quelle prestate dai terzi.

Si ritiene possibile anche la rimessione di debiti futuri, in analogia con la ammissibilità di negozi su beni futuri ad eccezione delle liberalità indirette. In tale ultima ipotesi infatti il negozio incorre nel divieto ex 771 c.c.

La differente natura del diritto che si dismette si riverbera sull’atto di dismissione: la rinuncia è valida erga omnes e non è recettizia; la remissione è relativa e recettizia.

Dalla remissione deve anche distinguersi la donazione liberatoria che è invece retta da un vero e proprio animus donandi.

 

4)       Rinuncia traslativa / con pagamento

La cd. rinuncia traslativa o la rinuncia dietro corrispettivo è sempre un contratto, rientrante nella autonomia e disponibilità delle parti ex 1322 comma 2. Non si tratta quindi di una vera e propria rinuncia (che costituisce solo un’obbligazione della pattuizione) ma di un contratto atipico plurilaterale, generalmente oneroso. Anche fiscalmente tale figura si atteggia come un vero e proprio trasferimento, con applicabilità della relativa disciplina.

 

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