Vendita di quota indivisa di un bene in comunione ( cd. vendita della quotina)
Si vuole approfondire la fattispecie della
vendita da parte di un coedere della quota su un bene facente parte della più
ampia comunione ereditaria. Tale fattispecie viene spesso più brevemente
identificata come “vendita della quotina”.
Tale fattispecie è stata spesso esaminata
anche in giurisprudenza ed in particolare si era giunti alla conclusione (Cass.
9534/2002) che in tale in tale ipotesi la vendita non potesse avere una
immediata efficacia reale per i seguenti motivi:
a)
In caso di
mancata assegnazione in sede di divisione di quanto venduto, l’acquirente
sarebbe potuto essere privato del bene con effetti retroattivi;
b)
Nella
comunione ereditaria non si sarebbero potute distinguere le singole quote sui
singoli beni, dovendosi invece fare riferimento solo alla quota ereditaria.
Unica eccezione che permetteva tale individuazione era nella ipotesi in cui il
patrimonio ereditario fosse costituito da un unico bene.
Tale operazione si riteneva (e talvolta si
ritiene ancora) illegittima od, al massimo, avente solo efficacia obbligatoria
(vendita dell’esito divisionale – vendita di cosa altrui) ed in concreto
subordinata alla effettiva attribuzione in sede di divisione ereditaria di quel
determinato bene.
Recente dottrina ha osservarto che la
tematica della trasmissibilità della quota sul un singolo bene che compone la
comunione, non necessariamente deve essere analizzata nella prospettiva della
vendita dellì’esito divisione (ossia vendita risolutivamente condizionata).
Un orientamento contrario alla ammissibilità
della figura in esame, seguito spesso anche in giurisprudenza, tendeva ad
escludere
che il coerede avesse la possibilità di disporre delle quote su singoli beni
della comunione, in quanto sarebbe titolare soltanto di un diritto sull’intero,
sì che le cc.dd. quotine non potevano essere oggetto di autonome vicende
giuridiche.
Tuttavia tali conclusioni non sembrano essere del tutto aderenti al dettato
normativo e parte della dottrina ha rivisitato e rielaborati tali concetti.
Lo stato di comproprietà contempla infatti la possibilità per il coerede di
trarre, nel rispetto delle posizioni degli altri contitolari, le utilità dirette
coerenti alle caratteristiche dei singoli beni comuni, sì che, in una ottica
funzionale ed in mancanza di espresse limitazioni, non può escludersi che il
coerede possa trarre anche le utilità indirette connesse alla comproprietà,
quali, ad esempio, quelle derivanti da atti traslativi volti ad attribuire a
terzi le specifiche prerogative collegate alla contitolarità di quel determinato
bene comune.
Sarebbe quindi perfettamente in linea con i principi generali che disciplinano
sia la comunione ereditaria sia quella ordinaria permettere l’alienazione della
cd. quotina. A seguito di tale atto di disposizione si creerebbero due
comunioni: la prima, comunione ereditaria, che continuerebbe a sussistere tra
gli originari eredi, la secondo, ordinaria,solo sul singolo bene oggetto di
alienazione, tra l’acquirente e gli altri eredi.
L’atto quindi di alienazione della quotina avrebbe effetti immediatamente
traslativi e reali con l’effetto di costituire una comunione ordinaria sul bene
oggetto di disposizione oltre l’originaria e persistente comunione ereditaria.
Occorre poi interrogarsi sulla applicabilità dell’art. 732 c.c. nella ipotesi di
vendita di quota su un singolo bene ereditario e quindi della esistenza o meno
di un diritto di prelazione (con effetti reali) degli altri coeredi.
La dottrina tradizionale ritiene applicabile il 732 c.c. solo nella ipotesi di
alienazione dell’intera quota ereditaria, fattispecie quindi diversa e non
assimilabile a quella in esame. Tuttavia essendo la norma dettata per un “favor
divisionis” e quindi agevolare la divisione ereditaria e quindi l’attribuzione
in proprietà dei beni ereditari verso i soli eredi, parte della dottrina oggi
estenderebbe l’ambito di applicazione di tale norma fino a farvi ricomprendere
anche la cd. vendita di quotina.
Significativa a tale riguardo è una recente sentenza della S.C. che pur
affermando che l’art. 732 c.c. può attuarsi soltanto nel caso di alienazione
(onerosa) della quota ereditaria, o di parte di essa, e non anche quando sia
stato alienato “un cespite determinato”, afferma
che l’esercizio del diritto in questione è consentito «nel caso in cui gli
elementi concreti che caratterizzano la fattispecie evidenzino, comunque,
l’intento dei contraenti di sostituire nella comunione ereditaria il terzo
estraneo, al coerede alienante, e di considerare pertanto, in vista di una tale
finalità, il bene, o i beni, oggetto della traslazione, in funzione
rappresentativa e come indice espressivo della quota o di parte di essa».
Ad analoghi risultati si arriva anche relativamente alle donazioni di quote su
singoli beni ereditari.
Si ricorda infatti che tali donazioni erano state spesso dichiarate nulle in
quanto il singolo coerede non avrebbe un potere dispositivo sulla quota del
singolo bene (quotina) e quindi sarebbero state nulle ex 771 c.c. (donazione di
cosa altri).
Accogliendo invece la ricostruzione sopra esposta ed ammettendo un potere di
disposizione con efficacia reale sulla “quotina”, non vi sarebbe più motivo per
ritenere invalidi tali atti.
In conclusione, la dottrina più recente ha cercato di evidenziare, partendo da
una concezione-funzione dinamica della comunione, come non vi sia poi così
“distanza” tra singolo coerede e beni in comunione e quindi, anche nell’ambito
di una comunione che comprenda più beni, sia possibile ritenere ammissibile la
vendita della sola quota di un coerede su un singolo bene senza dover necessaria
procedere alla alienazione di tutta la quota ereditaria o prevedere negozi con
mera efficacia obbligatori o condizionati.