Contratti Atipici – Misti – Complessi – Indiretti – fiduciario .

 

1-      Contratti atipici ed innominati

2-      Contratti misti e complessi

3-      Contratto collegato

4-      Contratto indiretto

5-      Negozio in frode alla legge

6-      Contratto fiduciario

 

Contratti atipici e contratti innominati.

L’autonomia contrattuale può liberamente manifestarsi sia con il creare nuovi tipi contrattuali, sia attraverso meccanismi giuridici più sofisticati quali il collegamento di più contratti.  

La categoria dei contratti atipici è quella che realizza nel modo più ampio l’autonomia contrattuale, dal momento che l’ordinamento stesso rinuncia alla disciplina dell’operazione giuridica, affidandosi alla libera iniziativa dei soggetti privati che quindi possono comporre nel modo che ritengono più opportuno i propri interessi.

Le parti possono quindi concludere contratti non appartenenti ai tipi aventi una disciplina particolare purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela (art. 1322 comma 2). Non sono considerati meritevoli di tutela i cd. contratti illeciti (contrari ai principi od interessi protetti dall’ordinamento), i contratti illegali (mancanti di un requisito di legge) od i contratti immorali (contro il buon costume, unici ad non essere irripetibili seppure nulli).

Altri limiti al principio di cui all’art. 1322 sono inoltre dati dalla mancanza di meritevolezza dei contratti irrilevanti (che in realtà non sono contratti in quanto irrilevanti per il diritto), dai contratti imposti (che prevedono diverse tipologie di obblighi a contrarre), nonché dalla rilevanza delle fonti di integrazione del contratto (sia per quanto concerne il contenuto che gli effetti), e dallo stesso principio della relatività degli effetti negoziali (art. 1340).

Non basta la semplice menzione nel codice civile per attribuire alla fattispecie la qualifica di contratto nominato: occorre al riguardo che sia anche stata predisposta una specifica disciplina.

La semplice menzione nel codice tuttavia attesta che l’ordinamento considera quel tipo contrattuale meritevole di tutela.

La dottrina tradizionale non distingue tra contratti atipici e contratti innominati. Parte della dottrina invece chiarisce che contratti innominati sono quei contratti che non appartengono ad alcuno dei contratti previsti nel codice, e che quindi possiedono una causa del tutto nuova,  diversa ed originale, mentre contratti atipici sono quelli che più semplicemente hanno apportato dei cambiamenti al contratto tipico. Altra dottrina preferisce invece parlare di contratti tipizzati e non.

Parte della dottrina infine (Gazzoni) sostiene che la atipicità assoluta in materia contrattuale non esiste in quanto tutti i contratti atipici discendono, seppure con varianti e collegamenti, dalle fattispecie legali.

L’adesione ad un contratto tipico non preclude tuttavia alle parti di determinarne il contenuto in modo diverso, rispetto allo schema previsto dalla legge, attraverso l’introduzione di singole clausole atipiche: in queste ipotesi bisognerà tuttavia valutare se l’introduzione di queste clausole non ne alterino la funzione così che possa sempre parlarsi di contratto tipico (rientrante nel medesimo schema causale) oppure non si sia in realtà in presenza di un contratto atipico, caratterizzato quindi da una causa unica, nuova ed originale.

Quanto alla disciplina applicabile, ai contratti atipici si applicherà tutta la disciplina dei contratti in generale,in via diretta,  in quanto compatibile, ai sensi dell’art. 1323 che prevede che tutti i contratti, anche non appartenente ai tipi avente una disciplina legale, sono sottoposti alle norme del contratto in generale. Si ritiene inoltre che potrà trovare applicazione, seppure in via analogica, la disciplina del contratto tipico che più si avvicini alla fattispecie prevista nel contratto atipico.

Si discute infine se siano ammissibili nel nostro ordinamento negozi atipici ad effetti reali, specie con riferimento al trasferimento di diritti immobiliari, oppure se tali diritti possano essere trasferiti solo mediante negozi tipici.

L’art. 1322 non pone al riguardo nessun discrimine e pertanto qualsiasi contratto, che realizzi interessi meritevoli, trova nel nostro ordinamento adeguata tutela. Né al riguardo è di ostacolo il preteso numero chiuso dei diritti reali, che non si riferisce alla tipicità dei negozi ad effetti reali, in quanto non bisogna confondere la tipicità della fonte del rapporto con il problema della tipicità del rapporto stesso. Pertanto niente esclude che diritti reali tipici possano sorgere od essere trasferiti con contratti atipici.

 

Contratti Misti e contratti complessi.

Nei contratti misti confluiscono la causa e la disciplina di più figure contrattuali diverse, di solito tipiche. Si ha dunque la commistione di due o più istituti, i quali riunendosi in un’autonoma sintesi compongono una figura nuova e diversa.

I contratti misti sono sempre un contratto unitario, con una unica causa ed una unica disciplina. Si discute circa la disciplina applicabile al contratto misto dato che in esso possono distinguersi due o più fattispecie tipiche. Al riguardo si distingue la teoria dell’assorbimento, secondo cui si dovrebbe applicare la disciplina dettata dalla figura contrattuale che, nel caso concreto, debba ritenersi prevalente ; prevale tuttavia la teoria della combinazione, secondo la quale a ciascuna parte contrattuale dovrà applicarsi il regime che le è proprio. Si avrà pertanto la presenza, in quanto compatibili di due o più discipline che si armonizzeranno tra di loro onde consentire il raggiungimento degli interessi perseguiti. Solo quindi in via residuale si applicherà la teoria della prevalenza.

I contratti misti rientrano nei contratti atipici in senso lato, ai sensi dell’art. 1322 comma 2 e, come i contratti innominati, hanno una sola causa unitaria. Tuttavia mentre nell’ipotesi dei contratti atipici (in senso stretto) l’unica causa è originale, nei contratti misti pur essendo unica la causa, questa è la risultante della fusione di due o più contratti nominati.

Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza dai contratti misti dovrebbero distinguersi i contratti complessi, che avrebbero un carattere unitario seppur derivante da un molteplice contenuto giuridico mentre i primi rappresentano la sintesi di più schemi negoziali. Secondo altri invece vi sarebbe un rapporto di species (c. misti) a genus (c. complesso) che quindi avrebbe un ambito più ampio tale da ricomprendere anche elementi non essenziali dei specifici negozi.

Dottrina autorevole sostiene tuttavia che il contratto complesso sia sinonimo di contratto misto, rappresentati entrambi da una causa unitaria, risultante dalla fusione di due o più cause di contratti tipici.

 

Contratto collegato.

A differenza del contratto misto che è figura unitaria caratterizzata da un’unica causa, i contratti collegati sono due o più contratti completamente autonomi tra di loro, sia quanto alla causa, sia quanto alla struttura, ma connessi tra di loro in quanto preordinati al raggiungimento di un unico interesse. I contratti collegati sono quindi caratterizzati da una pluralità di negozi, e quindi da una pluralità di cause, e da una connessione funzionale tra gli stessi, ossia unificati da un nesso di interdipendenza e rivolti alla realizzazione di un unico scopo finale. Il collegamento negoziale non presuppone necessariamente la coincidenza soggettiva di tutte le parti.

La dottrina distingue vari tipi di collegamento negoziale: una prima distinzione è tra collegamento necessario e volontario, ossia che il legame sia presupposto dal legislatore stesso (procura e contratto concluso) oppure il nesso sia creato dalla volontà delle parti.

Altra distinzione si ha tra collegamento unilaterale e bilaterale, a seconda che un negozio sia subordinato all’altro (c. accessori) oppure vi sia una reciprocità tra gli stessi. Nella prima ipotesi ogni vicenda del contratto principale si comunicherà al contratto subordinato, in particolare l’invalidità, la rescindibilità o risolubilità. L’inadempimento del primo inoltre dispenserà dall’adempimento del secondo (con una interpretazione estensiva dell’art. 1460). Nella seconda ipotesi l’interdipedenza dei due contratti si risolverà in sostanza nell’estensione di ogni vicenda di uno all’altro (simul stabunt, simul cadent).

Infine si distingue tra collegamento genetico e funzionale, a seconda che il negozio eserciti influenza sulla formazione dell’altro (c. preliminare) od incida sullo svolgimento del rapporto che nasce dall’altro.

La pluralità delle cause, quindi dei negozi, rende possibile distinguere la fattispecie in esame da quella dei contratti misti e rende agevole determinare la disciplina applicabile, che sarà per ciascuno dei contratti quella del tipo che le è proprio. Nettamente minoritaria è la teoria che fa riferimento alla volontà delle parti ai fini della distinzione tra i due contratti.

Nel contratto collegato quindi le parti perseguono un risultato economico ed uno scopo unitario mediante una pluralità di negozi, finalizzati ad un unico regolamento degli interessi. Se quindi le cause dei negozi in questione sono scindibili si ha collegamento negoziale (dove ogni negozio è comunque perfetto in sé), mentre qualora si sia di fronte ad un unico schema negoziale (inscindibilità), si ha contratto misto.

Molto spesso la distinzione non assume particolare rilievo dato che in entrambe le ipotesi si applicherà la disciplina al tipo relativa. Tuttavia nel negozio misto non è mai ammesso il recesso parziale, mentre ove si tratti di negozi autonomi, sarà ben ammissibile recedere da uno solo dei contratti qualora non venga meno l’equilibrio dell’intero regolamento.

 

Contratto indiretto.

Una particolare specie di contratti collegati è il negozio indiretto, in cui un negozio viene utilizzato al fine di conseguire effetti propri di un negozio diverso.

Si ha quindi l’esistenza non di un unico negozio (indiretto) ma di due negozi collegati tra loro: un negozio-mezzo, che viene formalmente posto in essere, ed un negozio-fine, ossia dello scopo ulteriore voluto dalle parti.

Vari in dottrina erano stati i tentativi di ricostruzione della figura in esame: una prima teoria sosteneva che il negozio indiretto non avesse dignità di figura giuridica autonoma, degradando il fine ulteriore a mero motivo; una seconda teoria comprendeva il negozio indiretto trai negozi atipici; un altro orientamento configurava la figura in esame come un negozio (mezzo) a cui erano state abbinate clausole speciali, tali comunque da non snaturarne la natura.

La dottrina recente configura il negozio indiretto come un collegamento negoziale tra negozio mezzo e negozio fine, entrambi rivolti per perseguire un unico scopo finale. La particolarità consiste che è formalmente posto in essere un solo negozio, e quindi il collegamento negoziale è solo tra due intenti negoziali.

Quanto alla disciplina applicabile, si applicherà la disciplina formale per quanto riguarda il negozio-mezzo, mentre si applicherà la disciplina sostanziale del negozio-fine.

Una fattispecie di particolare interesse è rappresentata dalla donazione indiretta (negozio mixtum cum donationem). Un primo orientamento infatti qualifica la figura in esame come contratto misto, muovendo dal presupposto che sia possibile la fusione in un’unica causa della funzione di scambio (onerosa) e di quella gratuita: le parti infatti intendono scambiare qualcosa e, nello stesso tempo, far sì che con la prestazione di una si attui una liberalità. Risulta più convincente la tesi che inquadra la fattispecie in esame nel negozio indiretto e più precisamente nella donazione indiretta, dove al negozio-mezzo di natura onerosa si affianca l’ulteriore scopo della liberalità (negozio-fine).

Pertanto si dovranno applicare quanto alla disciplina della forma, la disciplina del negozio oneroso (negozio-mezzo), mentre quanto alla disciplina sostanziale dovranno essere applicate le norme sulle donazioni (negozio-fine) (così come confermato dall’art.809).

La caratteristica del negozio indiretto consiste nella peculiarità che sia il negozio-mezzo sia il negozio-fine sono realmente voluti dalle parti. Il negozio-mezzo è infatti realmente voluto dalle parti per raggiungere il negozio-fine.

Questa caratteristica rende agevole la distinzione della figura in esame dalla simulazione, dove al contrario la volontà dichiarata non sussiste affatto (simulazione assoluta – art. 1414) o è diversa da quella effettiva (simulazione relativa- art. 1414 comma 2).

Anche il contratto in frode alla legge (art.1344) non è altro che una particolare ipotesi di negozio indiretto, dove si persegue uno scopo ulteriore che è contrario alla legge e quindi illecito. Ad un contratto-mezzo, di per sé lecito, è collegato funzionalmente un contratto-fine illecito, e pertanto nullo.

 

Negozio in frode alla legge

Una particolare ipotesi di negozio collegato ed indiretto è il negozio in frode alla legge.

In questa ipotesi si discute se per aversi “frode” sia sufficiente il raggiungimento di una finalità contra legem (teoria oggettiva) oppure rilevi, come è sostenuto da autorevole dottrina, anche l’intento fraudolento delle parti (teoria soggettiva).

Oggi la dottrina tende, anche per questa fattispecie, a fare riferimento alla applicazione del principio della causa concreta.

La caratteristica consiste nella circostanza che il negozio-fine è illecito, a differenza del negozio mezzo che è di per sé lecito (è quindi una particolare ipotesi di negozio indiretto). La nullità del secondo negozio porta alla nullità anche del primo, trattandosi di collegamento necessariamente bilaterale (poiché la volontà delle parti è diretta unicamente ad una finalità contra legem).

Una delle ipotesi più frequenti di negozio in frode alla legge è la cd. alienazione a scopo di garanzia, in quanto in violazione del divieto del patto commissorio.

 

 

Contratto fiduciario.

Anche il contratto fiduciario è una particolare species di negozio collegato, dove le parti per perseguire una scopo tra esse dichiarato ma non pubblicizzato (negozio obbligatorio), pongono in essere una situazione di titolarità (negozio reale) solo apparente, formalmente in capo al fiduciario, mentre in realtà e secondo la volontà sottostante delle parti il vero titolare rimane il fiduciante. Il contratto in esame è quindi caratterizzato dalla eccedenza del mezzo rispetto allo scopo, e realizza una dissociazione tra titolarità e legittimazione, appartenenza economica e sostanziale del bene mediante una appartenenza giuridica solo formale.

Il termine fiduciario deriva dal fatto che il fiduciante fa affidamento sul comportamento del fiduciario relativamente all’osservanza dell’obbligo di ritrasferimento. L’attribuzione del diritto dal fiduciante è temporanea e preordinata al conseguimento di scopi ulteriori, per raggiungere i quali è necessario la stipula del pactum fiduciae. In assenza di quest’ultimo ci troveremmo di fronte ad un normale negozio traslativo.

 Il fiduciario tuttavia potrebbe disporre validamente del bene anche in violazione dell’obbligo, ed al fiduciante  non resterebbe altro che il risarcimento del danno, non essendo opponibile ai terzi il pactum fiduciae.

Qualora invece il fiduciario si rifiuti di ritrasferire il bene, rimasto in sua proprietà, il fiduciante potrà ricorrere al rimedio di cui all’art.2932.

Le parti possono inoltre perfezionare al riguardo un vero e proprio preliminare, ed in quanto tale, trascrivibile ed opponibile con efficacia prenotativa.

La caratteristica della fattispecie in esame consiste quindi nella circostanza che il fiduciante ha una tutela esclusivamente con effetti obbligatori e non reali., Questo inconveniente potrà essere risolto solo con il ricorso ad altri istituti, quali il trust e gli atti di destinazione di cui all’art.2645 ter, che – al contrario - creano un vero e proprio vincolo reale ed un effetto di segregazione patrimoniale così che il disponente potrà sempre agire nei confronti del beneficiario o del terzo per il rispetto delle relative pattuizioni e quindi per riavere il bene.

Discussa è stata la natura giuridica della figura in esame: dalla teoria che nega rilevanza giuridica alla fiducia, relegandola a mero motivo, è stata prospettata la tesi della “causa fiduciae”, che consisterebbe nell’affidamento sul leale comportamento del fiduciario. In questa ipotesi si avrebbe quindi un contratto atipico dove l’effetto obbligatorio costituirebbe la causa dell’effetto reale. Tale ricostruzione tuttavia è stata criticata perché darebbe luogo ad una astrazione parziale della causa, incompatibile con la causa propria del negozio posto in essere, e ad una forma di proprietà fiduciaria, priva dei caratteri tipici della perpetuità e libera disponibilità.

E’ stata poi avanzata la teoria del fenomeno metagiuridico, caratterizzato dalla rilevanza della volontà delle parti che affidano la realizzazione dei propri interessi ad uno schema metagiuridico.

La dottrina recente ha rilevato infine come nel fenomeno fiduciario siano contenuti due negozi giuridici: uno reale, efficace per i terzi, ed un altro obbligatorio, negativo ed efficace solo per le parti. Si tratta quindi di un vero e proprio collegamento negoziale, sussistendo un rapporto di subordinazione del negozio obbligatorio a quello reale.

Da qui inoltre la differenza con il  contratto simulato, dal momento che nel contratto collegato entrambi i negozi sono realmente posti in essere e voluti, mentre nella simulazione è voluto solo il negozio interno (nella simulazione relativa) ed il negozio esterno, efficace per i terzi, è fittizio ed in realtà non esiste.

Nel nostro ordinamento il termine fiducia è menzionato due volte : nell’art. 657 relativamente alla disposizione testamentaria fiduciaria e negli articoli riguardanti le società fiduciarie. La differenza fondamentale tra il negozio fiduciario ora esaminato e la disposizione di cui all’art. 657, consiste nel fatto che l’obbligo nascente dal patto di fiducia testamentario non è coercibile, essendo rimesso allo spontaneo adempimento del fiduciario. Tuttavia se il fiduciario adempie, non potrà ripetere quanto adempiuto – cd. soluti retentio – avendo natura di adempimento di obbligazione naturale.

La legge 1966/39 disciplina inoltre la intestazione fiduciaria di pacchetti azionari o quote di srl in capo a società fiduciarie, le quali assumono l’obbligo di gestire tali beni secondo le istruzioni date dal fiduciante, ed eventualmente trasferire a terzi beneficiari. Tale fattispecie rientra nella cd. fiducia cum amico e germanistica, di cui di seguito.

Autorevole dottrina ritiene di non dover annoverare tra i contratti fiduciari il contratto estimatorio, contratto tipico (art.1556 : pagare il prezzo salvo restituire le cose nel termine stabilito), dove la fiducia non è diversa da quella che ogni soggetto ripone nella controparte .

Esistono poi varie ipotesi di negozi fiduciari non previsti dal legislatore ma che hanno larga diffusione nella prassi, tra cui “il patto di retrovendita”, che avrebbe natura di preliminare unilaterale e “la girata fiduciaria”, che si ha quando un soggetto gira la cambiale non allo scopo di trasferire ogni potere inerente al titolo, ma per scopi più limitati, quali garantire una determinata prestazione.

Nel nostro ordinamento si possono distinguere vari tipi di fiducia:

1-      la fiducia cum creditore, che ha una funzione di garanzia e presuppone che il fiduciario sia creditore del fiduciante: il trasferimento avviene infatti con l’intesa che il bene ritornerà al fiduciante nel momento in cui costui adempirà. Tuttavia tale tipo di fiducia può essere un facile espediente per eludere il divieto del patto commissorio, specie alla luce dei nuovi orientamenti giurisprudenziali.

2-      la fiducia cum amico serve invece a trasferire al fiduciario il potere di amministrazione su determinati beni in considerazione di particolari doti amministrative del fiduciario, che dovrà attenersi alle istruzioni del fiduciante, oppure per realizzare altri interessi (così come per eludere varie disposizioni).

3-      la fiducia dinamica presuppone un trasferimento della proprietà del bene al fiduciario, mentre la  fiducia statica si ha quando il fiduciario è già proprietario del bene in base ad acquisto effettuato con denaro del fiduciante  (intestazione di appartamento pagato con denaro di altri) e quindi non vi è tra i due alcun trasferimento formale del bene.

4-      la fiducia cd. romanistica è caratterizzata dalla circostanza che il proprietario fiduciante trasferisce la titolarità piena al fiducario che quindi sarà, anche di fronte ai terzi, il solo titolare.

5-      Con la fiducia germanistica invece al fiduciario è trasferita solo la legittimazione ad esercitare in nome propri un dato diritto, di cui il fiduciante resta comunque titolare nei confronti dei terzi. Si ha quindi una scissione tra titolarità, che resta al fiduciante,  e legittimazione all’esercizio del diritto, che passa al fiduciario.

Nel nostro ordinamento la proprietà fiduciaria non può trovare espresso riconoscimento perché in contrasto con la tipicità dei diritti reali e con l’assolutezza e pienezza della proprietà, anche se è espressamente disciplinata e riconosciuta in particolari e specifici settori, come nelle società fiduciarie dove è previsto che per i titoli azionari intestati alla società ma appartenenti a terzi, devono essere dichiarate anche le generalità degli effettivi proprietari.

Solo nella ipotesi di fiducia germanistica, proprio per le sue caratteristiche (legata solo alla legittimazione e non alla titolarietà), sarà possibile il ricorso a rimedi di natura reale per recuperare la disponibilità del bene, quale l’azione di rivendica in caso di  violazione del pactum fiduciae.

 

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